Mezzo secolo di Italia-Germania

 

Italia-Germania= leggenda del calcio. Dalla finale del Mondiale del 1982, alla semifinale di Dortmund del 2006: due Nazionali da sempre protagoniste della storia di questo sport

Italia-Germania= leggenda del calcio. Dalla finale del Mondiale del 1982, alla semifinale di Dortmund del 2006: due Nazionali da sempre protagoniste della storia di questo sport

 

Roberto Giardina

Roberto Giardina

di Roberto Giardina

Berlino – Già mettono le mani avanti, e evocano il Blauer Flucht, la maledizione azzurra. Non perdono contro l´Italia, ma contro il destino, contro un dio ignoto e maligno che odia i tedeschi, superiori sul campo di calcio, e ovunque, dalle auto ai sani bilanci statali, come predicava Lutero, il monaco che condannava i debiti, in cui siamo maestri. Come spiegare che sono sempre dati favoriti dagli esperti, e perdono sempre negli incontri ufficiali, per otto volte consecutive? Le partite amichevoli non contano: perdiamo apposta per ingannarli. Non siamo i perfidi allievi di Machiavelli, compaesano di Renzi? Il calcio è importante nei rapporti internazionali. Nel bene e nel male.  

Vidi il mitico 4 a 3 di Toluca, 18 giugno del 1970, in vacanza. Quando tornai a Amburgo, dove allora avevo il mio ufficio di corrispondenza presso una grande casa editrice, per un mese i colleghi tedeschi non mi rivolsero la parola. Proprio loro, i freddi e superiori anseatici, i nipotini di Thomas Mann?

Trascorsi quasi quarant´anni, dopo la nostra vittoria ai mondiali, allo Stadio Olimpico di Berlino, quello dei giochi di Hitler, il nostro istituto di cultura, invitò per una serata gli eroi di Toluca. I ragazzini prussiani guardavano Rivera, attoniti, come se si trovassero innanzi a un personaggio dei fumetti. Esisteva veramente? Quella sera cenai con il golden boy. Che le disse Albertosi dopo il goal del 3 a 3, quando lei si spostò e lasciò passare il pallone?

“Non posso riferirlo innanzi alle signore, rispose, però a me insegnarono che il pallone non si tocca con le mani. Adesso mi tocca segnare, mi dissi. E davanti mi trovai un muro di maglie bianche.”  Le scartò e segnò. Der blaue Flucht.

Nel 2006, guardai la semifinale di Dortmund in uno studio tv con le finestre aperte sulla Porta di Brandeburgo, dove avevano allestito un superschermo. Nella sera berlinese mezzo milione, forse un milione seguiva lo scontro tra bianchi e azzurri. Giungeva un sordo rumore come di un mare in tempesta. Segnò Grosso e la città si spense. Uno dei ricordi più felici della mia vita. Esagerato? Ebbene sì, anche sincero.

Alla vigilia, un certo Achim Achilles, pseudonimo ovviamente, ci descrisse sullo “Spiegel” online, come pancioni dai capelli unti di brillantina, mafiosi e mammoni. Mal gliene incolse. Razzista e sprovveduto: gli avversari vanno sempre esaltati, se no che piacere c´è nel batterli? Si scatenarono anche i nostri giornali: noi mafiosi? Loro tutti nazisti.

Da sempre mi batto contro i pregiudizi, buoni e cattivi, nostri e loro, arriva una partita di calcio, e si ripiomba nel passato. E siamo alla copertina di “Spiegel”, quella con il revolver sugli spaghetti fumanti. Uscì il 27 luglio del 1977, e non l´abbiamo  dimenticata. Però il lunghissimo articolo citava i nostri quotidiani, anche il mio. Tutto esatto, mafia, terrorismo,  rapimenti, ma con un collage si può fare di tutto. Noi le Brigate Rosse, loro la Baader-Meinhof, e si rapiva anche in Germania.

Nel frattempo hanno imparato la lezione. I telecronisti ci lodano: abbiamo imbrigliato il Belgio, schiacciato la Spagna per cui facevano il tifo (meglio le furie rosse imbolsite dagli anni che il Blaue Flucht). Li battemmo contro ogni logica anche nel 2012: dal Baltico alla Baviera nessuno ha dimenticato Ballottelli, scultoreo petto scoperto e braccia sui fianchi. Noi ce la prendemmo, perché un telecronista, coomentò che Cassano e Mario si erano intrufolati in aerea di rigore come cani bastardi. Errore di traduzione, disse come “cani sciolti”, ed era un complimento, ve lo assicuro. Quel collega spiegò che i tedeschi agiscono sempre secondo schemi rigidi, e noi improvvisiamo. Dovremmo imparare da loro, concluse.

A Monaco non hanno dimenticato il Trap e il suo tedesco (ich habe fertig, ne ho le scatole piene, in libera traduzione). Nessuno come lui ha rinnovato la lingua di Goethe, ammise in terza pagina la prestigiosa “Frankfurter Allgemeine”. E Beckenbauer lodava la sua professionalità. Oggi, la biografia di Ancellotti, il suo successore al Bayern, è già tra i bestseller dello “Spiegel”. Nessuno parla più di catenaccio, caso mai di “Alte Kunst der Verteidigung”, l´antica arte della difesa. Amici e colleghi mi chiedono: chi vincerà sabato? Voi, rispondo, se non altro per il calcolo delle probabilità. Dopo otto volte, prima o poi dovrebbe uscire il bianco. Nessuno mi crede: non sono italiano, perfino siciliano, machiavellico e mafioso? E hanno ragione. Neanch´io credo a me stesso.

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