Cosa si mangia nella Città metropolitana? Il menù è davvero molto speciale

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Julia Vitullo – Martin, senior fellow presso il Manhattan Institute e direttore del Centro per Ripensare allo Sviluppo fa il punto sul nuovo ruolo del cibo nelle metropoli del Terzo millennio. Siccome l’alimentazione sarà uno dei temi dell’Expo milanese, vi propongo la lettura di questo saggio

di Julia Vitullo-Martinvitullo-martin

L’alimentazione per le città è diventata ciò che era negli anni ’90 la tecnologia: un universo immenso, vario, piuttosto confuso di imprese e personaggi inventivi, che vanno dai più giovani produttori alle prime armi di Smorgasburg a Brooklyn, sino ai più famosi ristoratori di fascia alta di Manhattan. Così come all’inizio del ’90 la Apple veniva considerata un soggetto di grandissimo valore, oggi lo sono egualmente i principali innovatori in materia alimentare.

E come accaduto col settore tecnologico, anche ristoranti, mercati, prodotti alimentari, finiscono per caratterizzare e qualificare intere zone. Sono stati i ristoranti di Smith Street la spia che ha avvertito i cittadini della ripresa di Cobble Hill o Carroll Gardens, ben prima che il resto del mondo sentisse anche solo nominare Brooklandia. I ristoranti di Harlem, come quello di Amy Ruth, hanno contribuito non poco a mantenere a galla l’intera zona nei tempi bui degli anni ’70 e ’80. Anche l’incredibile recente successo del progetto High Line si accompagna e sovrappone a quello degli ottimi ristoranti dell’area.

Non parliamo solo di ristoranti. Quando poco tempo fa la Brooklyn Brewery ha proposto – acclamatissima – le sue birre a Parigi, un importatore francese di vini ha dichiarato al New York Times, “I parigini adorano Brooklyn, non ne hanno mai a sufficienza. Un simbolo preciso: significa America, significa New York”. I produttori alimentari di Brooklyn, con ricavi di 2,2 miliardi di dollari nel 2011, vendono un quarto della produzione al di fuori dei confini, e per un valore di 134 milioni all’estero, come sottolinea uno studio della locale Camera di Commercio.

Ma nonostante la grande importanza anche in termini di posti di lavoro (negli ultimi due anni a New York il 40% dei nuovi occupati è nel settore) e la spesa alimentare da 30 miliardi, a New York si tarda a riconoscere l’importanza di questo aspetto, come il sindaco di Londra Boris Johnson ricordava nel 2009 al nostro Bloomberg. Londra non solo superava New York per via dei suoi straordinari mercati — che dopo tutto risalgono in alcuni casi al medio evo — ma promuoveva iniziative allora sconosciute qui, come l’agricoltura urbana per accorciare il passaggio dal campo alla tavola del ristorante.

Se vogliamo che prosegua la ripresa di New York e di tutta la regione in campo alimentare, sia sul versante culinario che industriale, le varie amministrazioni a tutti i livelli devono coordinare le proprie politiche di settore e dar vita a nuove iniziative e programmi.

Una di queste è la creazione di un ente centrale per piani e programmi alimentari, che si tratti dei ristoranti o dei mercati all’ingrosso. Vancouver e Toronto hanno istituito appositi comitati per l’aspetto produttivo, mentre Seattle, Portland e Londra si appoggiano a una sezione nell’ufficio del sindaco.

Si tratta di entità in grado di rispondere rapidamente ai problemi del settore, per quanto riguarda ad esempio la pianificazione del territorio, le destinazioni funzionali, le norme sanitarie, per i parcheggi, i pedaggi stradali (il 98% dei prodotti alimentari nella regione si sposta su camion). E con un po’ di attenzione in più anche l’alimentare potrebbe iniziare ad essere considerato un vero “settore” come quello immobiliare, o finanziario, o tecnologico.

Altro elemento che oggi manca è un mercato all’ingrosso per prodotti regionali, cosa che possiedono tutte le regioni con un settore fiorente come il nostro. Si sta già pensando come migliorare la struttura di Hunts Point, si sa quanto sia sostanzialmente inadeguata. Soltanto il 2% di quanto passa per Hunts Point è di origine locale, secondo i calcoli della responsabile cittadina Christine Quinn, e tutti i tentativi di intervento sono sinora andati a vuoto. La Quinn suggerisce di guardare cos’hanno fatto a Parigi o Toronto, per dare una sede adeguata alle produzioni regionali.

Le grandi catene distributive al dettaglio che operano a New York — basta nominare fra tante Whole Foods o Trader Joe’s — hanno del tutto scavalcato Hunts Point, trasportandosi da sole prodotti qualificati e spesso anche di origine locale. Soltanto cinque anni fa i cittadini che volevano comprarsi delle pesche del New Jersey o delle mele di New York se le compravano di solito nei mercatini ecologici.

Adesso si trovano anche nei migliori supermercati, o anche da Fresh Direct. Wal-Mart, il principale distributore alimentare e nemico numero uno di militanti locali, ha anche lui alcuni programmi di fornitura da piccoli e medi produttori, come spiega Nevin Cohen, professore associato di studi ambientali alla New School. Tutte queste filiere di distribuzione sono efficienti e saltano Hunt’s Point, salvo quando terminano le scorte.

Karen Karp, importante consulente in campo alimentare il cui motto è “buon cibo vuol dire buoni affari” sostiene che “negli ultimi 25 anni New York si è costruita come città dell’alimentazione di livello mondiale, ma dal punto di vista delle strutture è restata al medio evo: ferrovie cadenti, pessime strade, politiche per l’acqua del tutto superate”.

Il Governatore Cuomo ha in pratica lanciato una sfida a tutta la regione, deliberando il fondo da un milione di dollari federali a sostegno di alcune specifiche colture, oltre che delle produzioni di vino e altre bevande alcoliche. Per riuscire sul lungo termine occorre che tutti cooperino, vista la dipendenza comune da un sistema ambientale/alimentare che non rispetta certo i confini statali.

Un patrimonio importante della città sono gli ex cantieri navali di Brooklyn, diventati il centro della trasformazione alimentare a New York. Si tratta di oltre trecentomila metri quadrati di superficie coperta industriale divisa su 40 edifici in un complesso da 120 ettari. L’ente di gestione pratica prezzi di mercato, ma essendo la proprietà pubblica gli affittuari sono esentati dalla tassa immobiliare, il che comporta un notevole risparmio.

La New York Economic Development Corporation ha organizzato alcuni incubatori di imprese con circa 12.000 metri quadrati di superficie per le trasformazioni alimentari. Questi incubatori a oro volta hanno prodotto oltre 20 milioni di investimenti in capitale privato di rischio.

È anche vero che le erbe aromatiche dello stato di New York, o le patate di Long Island, i bossi del New Jersey, le fragole del Connecticut e centinaia e centinaia di altri prodotti nella regione sono certamente di qualità superiore, e che ovunque si sono fatti negli ultimi anni enormi passi in avanti per quanto riguarda la promozione, la selezione, la distribuzione di prodotti regionali.

Complessivamente, l’alimentazione ha di sicuro un forte interesse economico e culturale. Come osserva lo storico Felipe Fernandez-Armesto, “Il cibo può essere considerato la cosa più importante del mondo. Quella che conta di più per la maggior parte delle persone e per la maggior parte del tempo”.

Traduzione di Fabrizio Bottini

Titolo originale: Eat Up: Food Policy in a Food City

4 novembre 2013

 
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