I maiali volanti, tre mesi in allevamento e prendono il passaporto italiano

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Attilio Barbieri fornisce un fondamentale contributo sulla lettura, decifrazione, comprensione e informazione generale relativa alle etichette dei nostri prodotti alimentari

di Attilio Barbieri

Il progetto della Commissione europea è preciso: «naturalizzare» maiali, pecore, capre e galline nati e cresciuti all’estero, dopo appena tre mesi di permanenza in Italia. Per fortuna il Parlamento Ue ha detto no con una risoluzione che invita l’eurogoverno a ritirare la proposta di regolamento. Di più: l’assemblea di Strasburgo sollecita l’esecutivo europeo a introdurre l’indicazione obbligatoria del luogo di nascita per ciascun capo.

Se fosse passata, l’impostazione di Bruxelles avrebbe stravolto di fatto tutto il regime delle Dop. Un suino allevato in Germania, ad esempio, si sarebbe trasformato dopo 120 giorni di permanenza nel nostro Paese in un maiale italianissimo. Pronto per ricavarci, ad esempio, il prosciutto di Parma o il San Daniele, piuttosto che la coppa piacentina o il salame di Varzi.

Ecco quel che penso: c’è un disegno per scardinare dalla base tutto l’impianto delle denominazioni d’origine, uno degli ultimi baluardi del vero made in Italy assieme ai prodotti a filiera trasparente. E i fili di questa diabolica ragnatela non conducono soltanto a Bruxelles.

La visione e gli interessi della nostra industria alimentare coincidono in modo preoccupante con l’impostazione dei poteri forti che dettano le regole in Europa: l’asse Berlino-Bruxelles è soltanto uno dei lati di un triangolo che ha il terzo vertice
in territorio italiano.

I maiali volanti, per ora, se ne stanno a casa loro, in Germania, Olanda e Danimarca. Ma per quanto?

Fonte: CIBI

4 gennaio 2015

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