Il 9 novembre 1989 crolla il Muro di Berlino. Cos’è rimasto di quella gioia

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Venticinque anni dopo in molti continuano ancora a considerare  il crollo del Muro, dell’Urss, di tutto il sistema comunista come una “vittoria”, non soffermandosi sulle “anomalie” che ne sono nate. Una di queste è che ogni giorno vengono distrutti migliaia di posti di lavoro senza che nessuno pensi a difenderli, a meno che non sia minacciato il proprio interesse personale

di Redazione

Il 9 di novembre si celebreranno i 25 anni della caduta del Muro di Berlino e l’anniversario offrirà un fascino supplementare per i nostalgici di quello che fu definito «il più crudele confine d’Europa »,   e per tutti coloro che comunque sono interessati  alla Storia, perché qualunque siano o siano stati i suoi ideali politici, Berlino, da sempre squassando sé stessa, pone degli  inquietanti  interrogativi. 

Come questo: il  faraonico recupero edilizio della Capitale, e da qualche anno a questa parte l’interesse esponenziale dei turisti (in maggioranza italiani) sono delle semplici curiosità dei nuovi tempi oppure nascondono qualcosa di più profondo?  

Sebbene il socialismo reale sia crollato con il muro venticinque  anni fa, e sebbene il sistema del capitalismo non  ha ancora vinto poiché non ha nessun programma per un nuovo ordine mondiale, in  molti continuano a considerare  il crollo del Muro, dell’Urss, di tutto il sistema comunista come una “vittoria”, non soffermandosi sulle “anomalie” che ne sono nate. Una di queste è il cambio di mentalità incoraggiato dal sistema secondo il quale la felicità vera risiede nell’acquisizione di oggetti, nell’accumulo delle cose non nelle qualità di ogni singolo individuo che forma la comunità.

Il risultato è  che ogni giorno vengano distrutti migliaia di posti di lavoro senza che nessuno pensi a difenderli, a meno che non sia minacciato il proprio interesse personale. Insomma le lotte sono diventate esclusivamente di categoria, con la tendenza ad evitare che alcunché le subordini a qualcosa di più generale.  Cosicché in un mondo dove gli insoddisfatti si addizionano ma non si aggregano anche per il sindacato più agguerrito la vita diventa difficile.

Accade perché l’etica della responsabilità  individuale non più considerata un valore, dal momento che  la tecnica rendendo gli effetti delle azioni più che mai imprevedibili, condiziona ogni iniziativa dell’individuo. Insomma, nel mercato tecnicizzato non c’è più spazio per l’agire, ma solo per il fare, dove ciascuno esegue azioni già descritte e prescritte dall’apparato, che poi è lo stesso mercato. Non a caso Hans  Tietmeyer, ex governatore della Banca centrale tedesca, avvertì già nel 1998 che accanto al plebiscito delle urne esiste il «permanente  plebiscito dei mercati mondiali».

Dunque non c’è libertà. Anche senza il Muro . E’ paradossale, eppure succede perché la più grande vittoria del sistema sta proprio nell’aver persuaso le genti che esso non pretende di essere perfetto, ma che tuttavia non esistono altre alternative. Sicché s’è venuta a creare una nuova scala dei valori nella quale le azioni  non sono più classificate come morali o immorali,  ma sono esaltate soltanto quelle supportate dal potere politico o dalla forza del denaro. E quindi, il sogno, e perciò l’utopia, sono considerati la massima trasgressione e la massima minaccia. Stando così le cose c’è ancora spazio per sperare – diciamolo così – in un cambio di tendenza?

1063828911-300x225Il “Café Sibylle”, costruito negli anni Cinquanta sulla Karl Marx Allee, è sempre aperto sulla grande arteria di Berlino (Est)  che si contraddistingue per lo stile dei grandi edifici che vi si affacciano lungo i tre chilometri di tracciato, da Alexanderplatz a Frankfurter Tor,  e che dopo la caduta del Muro i tedeschi  definiranno con non senza sarcasmo ” Zuckerbäckerstil ”, che in italiano significa “stile torta nuziale” .

Nel “Sibylle” dove si può ascoltare, sollevando la cornetta dei  telefoni di bachelite nera degli anni Cinquanta, la storia del Caffè e degli edifici che gli stanno intorno, è quasi sempre invaso dai visitatori quasi a dimostrare che l’interesse tutto culturale per questi luoghi, per quelle vicende, insomma per il Muro sopravvive alla grande, soprattutto  tra coloro che pur non avendo vissuto quei tempi sono ansiosi di farne conoscenza. I giovanissimi, insomma.

Naturalmente, le celebrazioni del venticinquesimo anniversario del Muro si annunciano ricche di eventi. Ma non è un amarcord pilotato sui “ personaggi e  le storie” del mondo di quegli anni che hanno fatto di gran lunga il loro tempo. Anche se – va sottolineato – la scomparsa dei “punti di riferimento” che caratterizza i nuovi tempi è fonte di grande malessere per le giovani generazioni poiché essa rammenta loro che  il  socialismo reale è crollato, senza che il capitalismo abbia offerto qualcosa di valido in alternativa.

E tuttavia, l’idea socialista vive, sebbene non sia ancora riuscita a riorganizzarsi come forza capace di riempire quel vuoto lasciato dal capitalismo. Così, in mezzo alle contraddizioni, emerge una realtà nella quale i protagonisti sono il sistema finanziario mondiale che si mantiene ormai in uno stato di imponderabilità; la crisi sociale che si accentua, gli squilibri demografici  che lievitano e via dicendo.

A far da fondale c’è la straordinaria capacità del sistema mondiale di recuperare a proprio profitto ogni cosa che possa, «attirare l’attenzione, a distrarre, a far pensare ad altro, o più precisamente ad impedire di pensare», come avverte Alain de Benoist uno dei maggiori esponenti della destra francese .

Allora, se questa vittoria del capitalismo non ha incoraggiato la  consapevolezza che il vivere assieme si sostiene sui valori condivisi , perché stupirsi se i giovani  sono attratti dalle storie di quegli anni vissuti dalle genti dietro al Muro? Perché, a sentir loro, il fatto che vi si potesse sognare è dato scontato.

2 novembre 2014

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