La nuova scuola targata Matteo Renzi

MATURITA': UNGARETTI, ANNI '70 E FRASE ANDY WARHOL

L’assunzione ope legis di 150mila precari è forse il prezzo che il Governo ha dovuto pagare per introdurre importanti novità nel mondo della scuola. Come gli aumenti retributivi legati al merito individuale dei docenti. Resta però da capire quale sarà la reale autonomia degli istituti

di Andrea Ichino

Per il governo Renzi la riforma della scuola sembra essere in primo luogo un problema di politica del lavoro: ossia stabilizzare 150mila precari, tra i quali, sia chiaro, non ci sono solo persone che hanno vinto concorsi e selezioni competitive, ma anche altre il cui unico merito è di aver atteso per anni nelle graduatorie a esaurimento senza alcuna valutazione della loro reale capacità di insegnare bene. Gli interessi degli studenti vengono dopo, solo nei capitoli successivi della proposta.

Stando a quanto scrive l’Ocse (ed è un peccato che il documento governativo, per altro molto ben scritto e documentato, non dica nulla su queste stime), la scuola italiana non aveva bisogno di nuovi docenti, soprattutto se assunti senza guardare alla loro qualità. La tabella 1 mostra che nell’anno 1999-2000 il numero di studenti per insegnante in Italia era inferiore rispetto ad altri paesi comparabili e, anche dopo i tagli dei governi recenti, nel 2009-2010 continua a essere in linea con la media Ocse per la scuola materna e inferiore per la primaria e la secondaria. Rispetto alle medie Ocse, sono anche di più le ore di insegnamento obbligatorio per studente (vedi pannello inferiore della tabella 1).

Più in generale, la spesa in istruzione per studente è stata in Italia più alta che in altri paesi comparabili (vedi il pannello superiore di sinistra della tabella 2 e la figura 1a). Solo negli ultimi anni, a causa dei malaugurati tagli lineari del Governo Berlusconi, questa spesa è diminuita fino a essere in linea con gli standard internazionali (vedi il pannello superiore di destra della tabella 2 e la figura 1b). Ma anche se la spesa è in linea con quanto accade all’estero, la performance della scuola italiana misurata dagli indicatori di apprendimento degli studenti non è soddisfacente.

È vero, come molti lamentano, che la spesa in istruzione è bassa rispetto al prodotto interno lordo (vedi i pannelli inferiori della tabella 2). Il motivo della differenza rispetto alla spesa per studente, tuttavia, è essenzialmente demografico, come illustrato dalla comparazione tra i trend di fertilità nella tabella 3: nei paesi in cui nascono pochi bambini, anche se una frazione inferiore delle risorse è devoluta alla scuola, la spesa per studente può rimanere alta. D’altro canto, è proprio la spesa per studente (non la spesa in proporzione al Pil) l’indicatore rilevante per giudicare se stiamo spendendo abbastanza per la scuola. E i dati ci dicono che non spendiamo meno degli altri: il vero problema è che spendiamo male; e che gli insegnanti sono tanti, ma male assortiti, generando quindi l’impressione che siano pochi perché mancano dove servono e nessuno parla di quelli in eccesso dove non servono. (1)

La politica è l’arte del possibile, però, e forse le 150mila assunzioni (quasi il 15 per cento dello stock di insegnanti in Italia, che rischia di bloccare nuovi ingressi per molti anni a venire) sono il prezzo che Renzi ha dovuto pagare alle forze conservatrici nella scuola (tra l’altro un bagaglio significativo di voti: circa un milione) per introdurre alcune importanti novità che speriamo non rimangano solo annunci sulla carta.

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10 settembre 2014

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