Pensioni. Sono rilevanti le differenze di genere

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Nei giorni scorsi è uscito il Rapporto dell’INPS sui trattamenti previdenziali relativi al 2014, che evidenzia rilevanti differenze di genere. Prima di soffermarsi su queste differenze è però opportuno delineare il quadro generale

Carla-Facchini_avatar_1422717402-90x90di Carla Facchini

Nel 2014, l’Inps ha erogato complessivamente quasi 22 milioni di pensioni a favore di circa 16 milioni di beneficiari: il 72,5% di essi riceve una sola pensione, il restante 27,5% due o più. Oltre 7,2 milioni dei titolari sono uomini (46,4%), 8,4 milioni sono donne (53,6%).

Le prestazioni previdenziali (Invalidità, Vecchiaia, Superstiti – IVS), che si basano su contributi obbligatori versati dai lavoratori e dai datori di lavoro, sono state circa 17,2 milioni (pari all’82,2% del totale). Le prestazioni assistenziali, costituite da pensioni e assegni sociali e da provvidenze economiche di invalidità civile, che si configurano come interventi di welfare, a carico dello stato, a favore di soggetti economicamente deboli, complessivamente, ammontano a oltre 3,7 milioni di trattamenti (pari al 17,8% del totale).

Il Rapporto INPS evidenzia, inoltre, come siano rilevanti le differenze di importo a seconda della tipologia di pensione percepita. Si passa infatti da 1.589 € lordi mensili per le pensioni di anzianità/anticipata (connesse a una maggiore anzianità contributiva) a 720 € per le pensioni di vecchiaia e 649 € per l’invalidità previdenziale, mentre le prestazioni ai superstiti vedono un importo medio mensile di 597 €.

Pensioni e differenze di genere

Consideriamo ora le differenze tra uomini e donne. Anzitutto, le donne usufruiscono meno frequentemente di pensioni previdenziali (tra i titolari delle pensioni di vecchiaia e di anzianità, sono il 38%), molto più spesso di pensioni di tipo assistenziale (il 59,8%) e di quelle di reversibilità (il 94,6%).

Il primo dei tre dati rimanda alla ridotta presenza femminile nel mercato del lavoro delle generazioni attualmente anziane (specie di quelle più anziane); il secondo alla più diffusa presenza tra le donne di situazioni di mancata copertura assistenziale; il terzo alla più elevata speranza di vita delle donne e alla conseguente maggior presenza, tra di esse, di condizioni di vedovanza.

Tabella n. 1. Pensionati per tipologia della pensione – Uomini e donne

U D totale Tasso di femminilizzazione
Previdenziali: Vecchiaia/Anzianità 5.281.331 3.231.753 8.513.084 38
Invalidità/Inabilità 348.444 183.821 532.265 34,5
Superstiti 78.352 1.369.639 1.447.991 94,6
Assistenziali 613.018 912.150 1.525.168 59,8
Previdenziali + Superstiti 343.042 1.645.756 1.988.798 82,8
Previdenziali + Assistenziali 560.370 1.011.389 1.571.759 64,3
Totale 7.224.557 8.354.508 15.579.065 53,6

Ma le differenze di genere non riguardano solo le tipologie delle pensioni percepite, riguardano anche i loro importi. Considerando le sole pensioni previdenziali, quanto percepito dalle donne è sensibilmente inferiore rispetto a quanto percepito dagli uomini: mediamente, 1.077 € mensili (lordi) contro 1.737 € per le pensioni di vecchiaia/ anzianità, 647 € contro 926 € per le pensioni di invalidità/disabilità.

Tabella n. 2. Importo medio mensile (lordo) per tipologia della pensione – Uomini e donne

U D
Previdenziali: Vecchiaia/Anzianità 1.734 1.077
Invalidità/ disabilità 926 647
Superstiti 761 889
Assistenziali 511 491
Previdenziali + superstiti) 1.859 1.479
Previdenziali + Assistenziali 1.607 1.501
Totale 1.577 1.103

Tali differenze rimandano alla diversa collocazione professionale di uomini e donne, ossia al fatto che queste ultime non solo sono state meno inserite nel mercato del lavoro, ma, anche quando vi hanno avuto accesso, hanno svolto meno frequentemente, anche a causa della loro minore scolarità, i ruoli più qualificati e retribuiti. Inoltre, per quanto riguarda il settore privato, più frequentemente hanno trovato collocazione nei settori tendenzialmente meno retribuiti (tessile, alimentare e agricoltura piuttosto che in quello metallurgico o metalmeccanico).

Solo per le pensioni di reversibilità il dato, ovviamente, si inverte (889 € contro 77 €), dato che le vedove fruiscono di una quota della pensione del marito, di norma, appunto più elevata.

Il risultato è che le donne sono molto più presenti nelle fasce più basse di reddito, molto meno presenti in quelle medio/ medio-alte: oltre i 2.500 € meno di un terzo dei titolari è donna, sopra i 3.000 € meno di un quarto.

Tabella n. 3. Pensionati per classe di importo della pensione (euro mensili lordi) – Uomini e donne

U. D. totale Tasso di femminilizzazione
< 500€ 707.632 1.182.293 1.889.92 62,6
500,00-999,99 1.552.943 3.178.836 4.731.779 67,2
1.000,00 – 1.499,99 1.640.865 2.025.494 3.666.359 55,2
1.500,00 – 1.999,99 1.562.514 1.116.337 2.678.851 41,7
2.000,00 – 2.499,99 806.989 496.675 1.303.664 38,1
2.500,00 – 2.999,99 407.914 176.323 584.237 30,2
3.000,00 e oltre 545.700 178.550 724.250 24,7
Totale 7.224.557 8.354.508 15.579.065 53,6

Se si vive in un rapporto di coppia, il fatto di percepire un reddito minore a quello del partner non comporta una specifica esposizione al rischio di povertà, dato che la gestione economica vede di norma, una condivisione familiare del reddito complessivamente percepito. Ma, se invece si vive da soli, come spesso avviene per le donne anziane, specie per quelle più anziane, un basso reddito individuale tende, ovviamente, a connotare in modo problematico le risorse economiche disponibili. Certo, in questi casi, frequentemente le donne percepiscono, oltre alla propria pensione, anche quella del marito (se tra i titolari di un’unica pensione le donne sono il 47,7%, tra i titolari di due o più pensioni salgono al 69,1%). Tuttavia, anche sommando i diversi assegni, il divario di genere resta pur sempre attorno al 41,4%, per cui si può ragionevolmente ritenere che le donne anziane siano maggiormente esposte al rischio di povertà.

Le differenze economiche di genere tra attenuazioni e permanenze

Il rapporto Istat non offre una lettura dei dati in base all’età dei titolari. Tuttavia, qualche spunto sui mutamenti in atto e, in particolare, sulle pensioni dei ‘giovani anziani’ è possibile coglierlo dai dati relativi ai trattamenti pensionistici liquidati, per la prima volta, nel 2014.

Soffermandoci sulle sole pensioni previdenziali, che sono state 558.162, si rileva che sono donne quasi la metà dei titolari di pensioni di anzianità, il 27,1% di quelle di vecchiaia.

Se l’incremento della presenza femminile nelle pensioni di anzianità è legato all’incremento dell’occupazione femminile nelle generazioni che stanno affacciandosi al pensionamento e può suggerire un’attenuazione, nei prossimi decenni, delle condizioni di reddito tra uomini e donne anziane, il dato relativo all’importo percepito suggerisce che, ciononostante, le differenze reddituali continueranno ad essere marcate. I dati Istat ci dicono, infatti, che l’importo medio delle pensioni di anzianità continua ad essere decisamente differenziato per uomini e donne e che, anche a parità di tipologia della pensione percepita, le donne fruiscono di importi di circa il 30% inferiori a quelli maschili.

Tabella n. 4. Importo medio delle ‘nuove’ pensioni (euro mensili lordi) – Uomini e donne

U. D.
Anzianità, lavoratori dipendenti 2.243 1.682
Anzianità, lavoratori autonomi 1.491 1.069
Vecchiaia, lavoratori dipendenti 995 743
Vecchiaia, lavoratori autonomi 771 512

Vale a dire che, anche nei prossimi anni, le condizioni economiche tra gli anziani continueranno ad essere segnate non solo dalle differenze sociali (come è facile intuire, l’importo delle pensioni è positivamente connesso con il livello di scolarità) e territoriali (l’importo medio delle pensioni nelle regioni meridionali è circa il 20% inferiore a quello delle regioni del Centro-Nord), ma anche da quelle di genere e che tali differenze contribuiranno a connotare in modo specifico la quotidianità di uomini e donne.

Fonte: Osservatorio Senior

16 luglio 2015

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