Talvolta, soltanto talvolta. Quando si conducono con determinazione battaglie politiche perché si è fermamente convinti che contribuiscano a rendere più civile, o per dirla semplicemente migliore, un Paese… in tali occasioni può accadere che ciò sembrava improbabile e insperato possa diventare possibile. Spero che nel caso del disegno di Legge per la riforma della cittadinanza in discussione al parlamento sia una di quelle volte.
Credo che il nostro Paese sia pronto per accettare lo Ius soli temperato che del resto è coerente con il dettato costituzionale che all’articolo 3 recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione…”
Inoltre se ci sofferma sui numeri ci renderemo conto della rapidità con cui il nostro paese sta cambiando, mentre i tempi della politica sono dettati da sterili contrapposizioni, del tutto ideologiche, che producono solo immobilismo e veicolano ai Cittadini messaggi di odio e chiusura. L’impressione è che si stia perdendo l’occasione per un serio ragionamento sui concetti di Identità e Nazione che conducano a scelte condivise in linea con quella che è la Nuova Italia:
• nel nostro paese sono quasi 1 milione i minori di origine straniera, di questi circa 600.000 sono nati in Italia
• circa 700.000 ragazze e ragazzi di seconda generazione frequentano regolarmente e scuole italiane
• Nelle proiezioni future, in molte zone d’Italia, raggiungeranno il 30% della popolazione giovanile
• Su 100 ragazzi nati in Italia ben 42 rimangono stranieri al compimento dei 18 anni
I ragazzi che definiamo di seconda generazione sono nati in Italia, sono figli di immigrati, studiano nel nostro Paese, parlano la nostra lingua e i nostri dialetti, molti di loro non sono nemmeno mai stati nel paese d’origine dei loro genitori, né spesso ne parlano la lingua. Eppure non sono riconosciuti cittadini italiani come tutti gli altri con conseguenti e inevitabili problemi di inserimento sociale e d’ identità. Questi ragazzi spesso si trovano ad avere opportunità e diritti più fragili rispetto ai loro coetanei, con il rischio di vivere una “cittadinanza più sottile”, originata dalla discrepanza tra le dichiarazioni di principio e le pratiche che non rispondono a criteri di giustizia ed equità. Bisogna guardare i volti e ascoltare con attenzione le storie di queste ragazze e di questi ragazzi.
Ascoltandoli capiremo che le loro storie, i loro sogni e le loro paure sono le nostre stesse storie, i nostri sogni e le nostre paure. Questi ragazzi sono e si sentono parte di una comunità più ampia, quella nazionale, di cui condividono le aspirazioni e le palpitazioni. Non lo sono in forza di un astratto legame col suolo, con la Patria o la Madre terra. Come del resto viene da sorridere a pensare che qualcuno si senta italiano in virtù della sacralità del sangue degli antenati che scorre nelle proprie vene. Ascoltandoli con attenzione e senza pregiudizi capiremo perché hanno diritto di essere cittadini italiani.
Poiché il futuro è multiculturale, la sfida non può che essere quella di comprendere come costruire convivenze che non siano distruttive, ma che siano inclusive, generatrici di nuovi sensi, di nuove possibilità e di nuove sfide. La sfida per chi come me è una Amministratrice, in attesa di una Legge sulla cittadinanza maggiormente inclusiva, è quella di contrastare l’esclusione o peggio l’auto-esclusione, concepire luoghi che producano l’incontro, lo scambio, il dialogo, la partecipazione, dove le persone immigrate i ragazzi delle seconde generazioni non siano trattati solo come persone da assistere, da prendere in carico, da istruire ma come attore reale, vivo, propositivo della vita sociale del territorio.
Arianna Censi