La realtà dei dati sull’argomento “acqua potabile” è pesante come un macigno. La mancanza di acqua potabile uccide oltre 1,5 milioni di bimbi all’anno: significa circa 2.400 al giorno, 175 all’ora, tre al minuto. Una strage degli innocenti denunciata da una ricerca dell’Unicef da poco diffusa. In Europa si stima che ogni persona consumi giornalmente circa 300 litri d’acqua potabile; la media sub ed est sahariana varia dai 20 ai 30; quelle nelle aree aride è di tre.
Sicché – è un esempio – i casi di colera che si contano nell’Africa subsahariana sono tre volte superiori a quelli del resto del mondo. E comunque, piu’ in generale, la mancanza d’acqua potabile moltiplica in maniera geometrica la trasmissioni di gravi malattie infettive come la polmonite. Per non parlare – e ciò riguarda anche i bambini – dell’Aids e malattie connesse come la tubercolosi.
Gli episodi di violenza sono quasi sempre strettamente legati al processo di approvvigionamento idrico. A causa delle diverse ore impiegate per raggiungere la fonte, spesso le donne partono molto presto al mattino, camminando nel buio:questo le espone ad un alto rischio di violenze di tipo fisico o sessuale
Non altrettanto noto è il fatto che la violenza sulle donne è un fenomeno in molti Paesi del Sud del Mondo legato all’approvvigionamento idrico. Quando la fonte d’acqua potabile non è facilmente accessibile, cioè presente nel quartiere o nel villaggio dove si vive, le ragazze – e spesso già da bambine – sono le prime incaricate di procurare l’acqua per l’intera famiglia, percorrendo a piedi diversi chilometri al giorno.
Pertanto, gli episodi di violenza sono quasi sempre strettamenti legati al processo di approvvigionamento. A causa delle diverse ore impiegate per raggiungere la fonte, spesso le donne partono molto presto al mattino, camminando nel buio:questo le espone ad un alto rischio di violenze di tipo fisico o sessuale. Dopo tutto partire più tardi, evitando il buio, le espone ad un altro rischio: quello della violenza domestica dovuta all’impazienza del marito che probabilmente aspettava l’acqua prima durante il mattino.
Di questo e di altro si parlerà a Milano lunedì 27 giugno, – dalle10,00 alle 13,00 presso Palazzo Pirelli – Via Fabio Filzi, 22, Sala del Gonfalone – al convegno sull’ “Accesso all’acqua potabile da parte di tutti gli abitanti del pianeta.”. Il titolo del convegno richiama il disegno di legge recentemente approvato alla Camera e ora in discussione al Senato che individua come strumento il Fondo nazionale di solidarietà in campo internazionale, istituito presso il Ministero degli affari esteri, da destinare a progetti di cooperazione che promuovano l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari.
«Vogliamo fare in modo che “aiutiamoli a casa loro” non sia più un semplice slogan respingente né un facile modo per disinteressarsi delle contraddizioni: vogliamo renderlo un approccio positivo, un’occasione per farsi carico delle contraddizioni e per concorrere a risolverle», spiega Patrizia Toia capodelegazione del PD al Parlamento europeo, che parteciperà al convegno. Ella ricorda che, «grazie agli aiuti dell’Ue che secondo le ultime rilevazioni, ben 32 milioni di persone hanno avuto accesso all’acqua potabile, oltre 10 milioni di bambini hanno potuto frequentare la scuola primaria e più di cinque milioni di bambini sono stati vaccinati contro il morbillo.».
Naturalmente, conoscendo questa realtà la prima cosa che viene in mente è che ogni spreco rappresenta non solo una colpa morale, ma un’ingiustizia nei confronti di quelle persone il cui accesso all’acqua è estremamente limitato, di cui noi possiamo, o meglio dobbiamo, ritenerci in parte responsabili.
Ogni volta che si riesce a garantire l’accesso sostenibile all’acqua potabile e agli interventi idrici si affianca la costruzione di servizi igienici, latrine, bagni pubblici, scuole incluse, la vita delle persone cambia. Soprattutto quella delle donne
Infatti, la diversa disponibilità di acqua e in particolare il diverso uso che se ne fa nei paesi del Nord e del Sud del mondo, oltre ad alimentare i conflitti per l’acqua (soprattutto nelle aree che ne sono maggiormente carenti), contribuisce, ad accentuare il divario tra questi due mondi. Avere accesso all’acqua potabile significa garantire il diritto alla salute. Non solo, ma per le donne diventerebbe una sorta di liberazione. Non credo di essere esagerata affermando questo.
Poiché la prima violenza le donne la subiscono dal tempo che esse devono togliere al gioco, agli amici, allo stare in famiglia, e soprattutto dal tempo negato agli studi. Guardando il fenomeno a livello più ampio, questo significa che l’approvvigionamento idrico è tra i responsabili del perpetuarsi della maggiore vulnerabilità delle donne in alcune società, data dalle minori opportunità educative e dunque economiche che esse hanno rispetto agli uomini.
Patrizia Toia che dispone di prima mano dei risultati delle indagini dell’UE, esemplifica: « Persino quando accedono ai servizi igienici e sanitari le donne sono più vulnerabili degli uomini. Se nelle case, nei quartieri, negli edifici scolastici, non ci sono i servizi igienici, le ragazze per prima cosa smettono di frequentare la scuola. Il pudore blocca a tutte le latitudini. Pertanto ci sono anche ragazze che per nascondersi agli sguardi attendono le ore buie. Benché siano proprio le tenebre che le mettono a rischio di violenze sessuali.».
Una cosa è accertata, quando si riesce a garantire l’accesso sostenibile all’acqua potabile e agli interventi idrici si affianca la costruzione di servizi igienici, latrine, bagni pubblici, scuole incluse, la vita delle persone cambia. Soprattutto quella delle donne.
Sembra facile, ma va tenuto a mente che su 7 miliardi di esseri umani sono 768 milioni solo coloro che non hanno accesso all’ acqua salubre e ben 2,5 miliardi deve convivere con la costante scarsità di questo bene pubblico, oltre al fatto che l’acqua dolce rappresenta meno dell’uno per cento delle risorse idriche terrestri. L’acqua è un diritto di tutti. Garantire l’accesso all’acqua potabile, soprattutto nel sud del mondo, significa non solo costruire pozzi e infrastrutture idriche, ma formare e investire in comitati di gestione dell’acqua che possano interagire direttamente con le istituzioni locali. Non si può voltare la testa dall’altra parte. Noi di sinistra continuamo a batterci perché ciò non accada.
Arianna Censi