Lo grida don Ciotti in piazza Beccaria durante la cerimonia per ricordare Lea Garofalo la testimone uccisa dalla ’ndrangheta e che egli definisce «martire di libertà». E’ questo l’evento a Milano di oggi, tutto il resto diventa meno importante.
MILANO. Piazza Beccaria gremita di persone. Tremila bandiere fucsia, gialle e arancioni – i colori di Libera, l’associazione presieduta da don Luigi Ciotti – con il volto giovane e sorridente della ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e la scritta ‘vedo, sento parlo’. E tanti, tantissimi mazzi di fiori, degli stessi colori delle bandiere, in un’onda colorata che per una mattinata ha rotto il grigiore del cielo sopra Milano e insieme ha fatto da sfondo a una cerimonia che ha voluto lanciare un messaggio preciso per affermare, usando le parole di don Ciotti, che “la verità è giustizia”.
Un delitto con quattro colpevoli. La città ha reso l’ultimo omaggio a Lea Garofalo, la giovane donna che ha trovato il coraggio di collaborare con la giustizia, denunciare quel contesto di ‘ndrangheta in cui era vissuta e che per questo, proprio a Milano, ha trovato la morte: il 24 novembre del 2009 Lea e’ stata separata dalla figlia, rapita, interrogata, uccisa e bruciata. Quel che resta di lei, 2.800 frammenti ossei, sono stati recuperati lo scorso anno in una buca nel quartiere monzese di San Fruttuoso. Per il suo omicidio sono state condannate all’ergastolo quattro persone fra cui Carlo Cosco, il suo ex compagno e padre di sua figlia Denise.
Il verbale dell’orrore / L’ultima passeggiata di Lea
Il saluto della figlia Denise. A volere che il funerale della madre si tenesse a Milano è stata proprio Denise, che oggi ha 22 anni e che ancora vive sotto protezione. Ospitata per motivi di sicurezza nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale, Denise non ha perso un attimo della celebrazione che ha commosso centinaia di persone ed è intervenuta in prima persona, dietro una balconata, per dire “ciao mamma”. Facendo risuonare la sua voce in tutta la piazza, in un breve addio insieme orgoglioso e straziante, la ragazza ha salutato i presenti: “Ciao a tutti e grazie di cuore di essere venuti qui. Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene”.
Il diario di Lea. Nel corso della cerimonia intervallata da brani amati da Lea Garofalo e scelti da Denise per questa occasione, fra un I tuoi occhi sono pieni di sale di Rino Gaetano, Gli angeli di Vasco Rossi,L’ombra della luce di Franco Battiato e Ave Maria di Fabrizio De Andrè, sono stati letti alcuni brani del diario che Lea Garofalo teneva. Il 19 agosto 1992 annotava: “Ho scritto tutto quello che ho sentito, che mi dicono. Non ho scritto quello che penso. Della mia vita non gliene frega niente a nessuno e sono sola. Oggi però ho una speranza: è Denise, mia figlia. Lei avrà tutto quello che io non ho mai avuto nella vita”.
La lettera al presidente Napolitano. Lea aveva scritto anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma il suo messaggio non è mai stato spedito. Era questo: “Sono un mamma disperata, allo stremo delle sue forze. Oggi mi trovo con mia figlia lontana da tutto e da tutti. Sono sola. Ho perso tutto. Sapevo a cosa andavo incontro e ora non posso cambiare il corso di questa mia triste storia. Con questa mia richiesta di aiuto vorrei che lei rispondesse alle decine di persone che si trovano nelle mie stesse condizioni. La prego ci dia un segnale di speranza. Abbiamo bisogno di aiuto”. Nel messaggio non si firmava, ma si definiva “una giovane madre disperata”.
Don Ciotti e il sindaco Pisapia. “Lea è ancora viva, non è morta”, dice don Ciotti. E il suo feretro, al centro di un grande palco circondato da numerosi gonfalonide l Comune e della Provincia di Milano, della Regione Lombardia, del Molise, di Cormano, Bellusco e altre località ancora è diventato un “simbolo antimafia” di una tale forza da zittire, al suo arrivo, un’intera piazza di migliaia di persone pronte a esplodere in un applauso quando il feretro se ne va, trasportato dal sindaco Giuliano Pisapia, da don Ciotti, da Mario Calabresi, Nando Dalla Chiesa e da due parenti di vittime.
“Dobbiamo cercare la verità”. “Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla. La verità è la giustizia di cui abbiamo bisogno”, dice don Ciotti dal palco. Lea Garofalo, prosegue, è “una martire della verità, una testimone della verità”. Un simbolo attraverso il quale il sacerdote può rivolgersi “ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose” per cercare “la verità. Noi non vi lasceremo soli. Lea ha deciso di rompere il silenzio e l’ingiustizia. Il tuo cuore e la tua coscienza – aggiunge don Ciotti rivolgendosi al feretro di Lea Garofalo – sono sorgenti di libertà”. E ancora: “Lea, hai seguito la tua coscienza per rompere un codice di odio e di mafiosità. Hai condotte con le tue piccole, grandi forze la tua scelta di libertà. Lea, hai visto, sentito e testimoniato”.
“Non è stato un incidente”. “Non è stato un incidente a causare la morte di Lea – ha ricordato dal palco il sindaco Pisapia – Non è stata una malattia: è stata la violenza di alcuni uomini, di quelli che gli erano più vicini. Lea ha voluto uscire dalla gabbia che la teneva prigioniera, sapeva che rischiava tutto, nonostante questo ha avuto il coraggio di ribellarsi. Una donna che è un esempio per tutti, soprattutto per i giovani. In passato troppe volte si è detto, anche qui, ‘non vedo non sento non parlo’. Oggi diciamo ad alta voce ‘vedo sento parlo’, come si legge nelle bandiere che hanno riempito piazza Beccaria. La figlia di Lea, Denise, ha voluto che la cerimonia si tenesse a Milano. La città – ha aggiunto Pisapia – in cui Lea ha cercato un futuro migliore e dove ha trovato il coraggio di diventare testimone di giustizia”.
Fonte. la Repubblica
19 ottobre 2013