Sono d’accordo con quanto scrive in questa severa analisi l’economista Carlo Scarpa e soprattutto quando conclude che la condanna degli ex amministratori dell’Alitalia può essere considerata un “buon inizio” della lotta contro la corruzione. Auguriamocelo veramente. Buona lettura.
Indifendibili. Eppure fatico a pensare che sia colpa (tutta) loro. I vertici di Alitalia del periodo 2001-2007 (anzi, una ristretta selezione di questi vertici) sono gli unici colpevoli del “crac”?
La causa contro i top manager della vecchia Alitalia non era certo peregrina, anzi. Esiste una cosa che si chiama “responsabilità degli amministratori”. E il giudice ha deciso che questi signori hanno violato le regole, non solo quelle civilistiche – si noti – ma anche quelle penali. E qui le cose si complicano.
La responsabilità di un amministratore non si estende normalmente alle conseguenze delle sue scelte discrezionali, così che “banali” errori di strategia o scelte che a posteriori si rivelassero errate non possono essere utilizzate per crocifiggerlo. Certo, deve rispettare un obbligo di diligenza, deve fare quanto possibile per evitare qualunque pregiudizio all’impresa, ma se poi le cose vanno male, questo non basta a configurare responsabilità neppure in sede civile. La condanna indica che evidentemente quanto meno la diligenza è stata violata.
Ma non solo. In questa fase penale, il reato contestato era quello di bancarotta, ossia – nella sua formulazione generale – di avere condotto l’impresa al fallimento con operazioni manifestamente imprudenti o, peggio, per avere distratto o dissipato i beni aziendali al fine di recare pregiudizio ai creditori. Per ora conosciamo solo i termini della condanna, mentre la sentenza – documento ben più corposo che spiegherà in dettaglio le conclusioni del tribunale – sarà disponibile solo tra qualche tempo. Ma i fatti sui quali si fondava l’impianto accusatorio sono noti almeno per grandi linee; la scellerata gestione del cargo di Alitalia, l’acquisto di Volare, la cessione di Eurofly e altro ancora.
Non è solo scarsa diligenza o omesso controllo. Vedremo la sentenza, ma si tratta di operazioni molto discusse già all’epoca, che gli amministratori hanno intrapreso quando le difficoltà finanziarie dell’impresa erano conclamate. Era saggio farlo in quel momento e a tali condizioni finanziarie? Sicuramente no, ma la risposta dei giudici individua evidentemente una responsabilità ben superiore alla semplice “poca saggezza”.
E i mandanti?
Il peggio è però che queste persone non operavano nella penombra. Operavano alla luce del sole su un mandato politico non certo preciso, ma che non può dimenticarsi. Il crac Alitalia è costato alle casse dello stato molti miliardi di euro. È pensabile che la colpa sia solo di questa “banda dei quattro” che emerge dalla condanna?
Da sempre, Alitalia è stata un “oggetto politico”, ove la politica (e i sindacati) la facevano da padrona. Le assunzioni erano clientelari, le scelte strategiche dell’impresa dettate dalla decisione di spingere Malpensa o altri aeroporti, ovvero da umori ondivaghi della politica: oggi ci accordiamo con i francesi, domani no, dopodomani forse.
Un recente report dell’ufficio studi Mediobanca ha provato a misurare quanto tutto questo ci sia costato.
Nel periodo dal 1974 al 2014 Alitalia, è costata allo Stato circa 7,4 miliardi di euro (anche considerando le imposte riscosse e altro, quindi si tratta di un calcolo piuttosto completo). Di questi, 1,8 miliardi sono stati spesi prima del 2001, 1,5 tra il 2001 e il 2007 e gli ultimi 4,1 miliardi sono stati originati dopo il 2007. L’attuale sentenza riguarda il periodo 2001-2007 (1,5 miliardi a carico dello Stato) dove le voci principali di impegno del denaro pubblico sono riferibili ad aumenti di capitale. Da questi pochi dati (l’analisi sarebbe ovviamente lunga) emergono almeno due interrogativi:
a) Il grosso del costo per lo Stato è legato al periodo post-2007. È possibile sperare in un giudizio della magistratura su questa scellerata fase?
b) Se nel periodo 2001-2007 la massima parte del costo è dovuta ad aumenti di capitale (magari suggeriti dagli amministratori, ma deliberati dagli azionisti, ossia dal Tesoro), qualcuno vorrà scoperchiare il vaso di Pandora delle decisioni politiche su questa impresa?
Per ora abbiamo solo scalfito il coperchio
Probabilmente gli amministratori (che qui non intendo difendere) sono anche responsabili di azioni in danno di Alitalia (se lo hanno detto i giudici, in attesa dell’appello, prendiamolo pure come una “legittima ipotesi” anche se non come presunzione); ma la politica dove è? Sicuramente la maggiore responsabilità degli amministratori è non avere resistito alle sue spinte. Ma se è stato commesso un crimine ai danni del paese – e credo che questo sia vero – dove sono i mandanti?
Purtroppo, non possiamo sperare di vedere presto un secondo processo ai veri, maggiori responsabili di questa brutta storia. La politica finisce per essere non responsabile anche di fronte a gestioni abominevoli, rispetto alle quali chi deteneva le azioni – lo Stato italiano e soprattutto chi lo rappresentava – non può vestire in modo credibile i panni della vittima.
Spero almeno che i presumibili appelli non finiranno per azzerare tutto e individueranno in modo definitivo gli esecutori (questi o altri) che abbiano eventualmente mancato ai loro doveri.
Ma non illudiamoci che questo basti a fare pulizia. Sarà, al più, “un buon inizio”.
Fonte: laVoce
4 ottobre 2015