In Germania si vuol porre questa alternativa non come una sconfitta, ma come una scelta
di Roberto Giardina
Berlino. Anni fa comprammo all’asta, a prezzo da Ikea, un bel divano Biedermeier, quasi perfetto, solo dalla stoffa rovinata dopo 150 anni. Un tappezziere ci chiese 6 mila euro, sei volte il prezzo pagato all’asta. E le sue stoffe erano orripilanti. La stoffa la scegliamo noi in Italia, rispondemmo. Allora fa 7 mila, replicò l’artigiano berlinese dalla logica levantina. Poi trovammo un artigiano venuto da Praga, che pretese un sesto e si dimostrò molto abile.
In Germania non esistono meccanici come da noi cui puoi chiedere di dare un’occhiata all’auto. All’inizio, quando ero inesperto, portai la mia alla casa madre. Il conto fu di 600 Deutsche Mark, per la piccola ispezione, e automaticamente avevano cambiato olio e filtri senza alcun bisogno. Ma senza verificare lo stato dei freni o della frizione. Mi diedero l’indirizzo di un meccanico iugoslavo (lui pretende sempre di essere iugoslavo), più onesto di un prussiano. Per il Tüv, il controllo obbligatorio ogni due anni, sempre la casa madre mi aveva chiesto 4 mila euro. Lui risolse i problemi per 600. Da fidarsi? Certamente, perché comunque il controllo viene effettuato dalla motorizzazione berlinese. E i pezzi di ricambio deve comprarli pagando l’Iva. Soltanto non fa pagare mezz’ora di lavoro per girare una vite.
Questo per dire che ad artigiani in Germania sono messi male. «Sempre meno tedeschi si vogliono sporcare le mani», ha scritto la «Süddeutsche Zeitung» per commentare la Fiera internazionale dell’artigianato che si è appena chiusa a Monaco. In dieci anni sono scomparse 400 mila imprese artigianali, nonostante che proprio nel 2004, il ministro dell’economia, il socialdemocratico Wolfgang Clement, avesse abolito l’obbligatorio certificato per esercitare il mestiere per una cinquantina di attività artigiane. E Clement era figlio di un capomastro, e dunque consapevole della tradizione. Per avere il certificato era necessario aver lavorato come apprendista per alcuni anni nell’azienda di un artigiano qualificato e aver superato un esame finale. Una garanzia per il cliente, sia che si voglia farsi tagliare i capelli o farsi riparare il bagno. Tutto invano. La riforma di Clement voleva rendere più facile l’ingresso nel mondo del lavoro, ma ha finito involontariamente per svilire l’esercizio di alcuni mestieri.
«Tutti hanno fatto l’esperienza», ha scritto il quotidiano di Monaco, «nonostante l’appuntamento fissato, l’idraulico viene quando gli pare, pasticcia per una decina di minuti, e poi presenta un conto assurdo». E c’è da sperare che abbia almeno riparato il guasto. I giovani non si vogliono sporcare le mani, ma non desiderano neanche fare un lavoro che ha scarso valore sociale. Il loro posto viene preso da stranieri che chiedono prezzi più ragionevoli, ma non sempre sono qualificati. Bisogna avere fortuna come me. Il ministero della pubblica istruzione ha preso contatto con la Camera federale degli artigiani: i ragazzi che interrompono gli studi dovrebbero essere avviati a un mestiere artigianale. Mancano 200 mila apprendisti e le aziende sono disponibili a offrire un posto agli studenti che non riescono o non vogliono giungere al diploma di maturità. Meglio un bravo meccanico che un mediocre laureato in filosofia. Non è considerazione originale, ma è difficile realizzarla. L’alternativa va offerta durante gli studi, non come un fallimento, ma come una chance positiva.
23 marzo 2014