L’intenso racconto di una scrittrice americana che ci è passata, per quattro anni, e che risponde a domande come: “perché non l’hai lasciato?”
di Leslie Morgan Steiner
Leslie Morgan Steiner ha 49 anni ed è una scrittrice e blogger statunitense. Dopo essersi laureata ad Harvard in Letteratura e aver ottenuto un master in Marketing alla Wharton School of Business, lavorò per qualche tempo per il famoso pubblicitario Leo Burnett, per poi diventare general manager del Washington Post Magazine dal 2001 al 2006 (cioè lavorava nella parte commerciale del giornale). Si è occupata di relazioni familiari sul sito del Washington Post e sul magazinemommy tracked. Nel 2009 ha scritto “Crazy Love”, un racconto biografico della sua relazione con un uomo violento, con cui rimase sposata quattro anni.
Poco prima di innamorarmi di un uomo che avrebbe abusato di me, confidai con certezza alla mia coinquilina di New York che non sarei mai stata tanto stupida da stare con un uomo che mi avesse picchiata. Come molte persone che hanno dei pensieri semplicistici riguardo la complessità di una relazione violenta, il fatto che non considerassi i pericoli di una relazione sentimentale fatta di abusi mi è costato caro.
Quando ho visto il video del giocatore di football americano Ray Rice che picchiava in un ascensore di Atlantic City la sua fidanzata Janay Palmer – e la successiva presa di posizione di lei a favore di Rice dopo che la settimana scorsa lo stesso Rice è stato escluso dai Baltimore Ravens e sospeso dalla NFL – mi sono ricordata di quanto possa essere difficile uscire da una relazione violenta.
Questi sono i momenti in cui rimpiango di non aver lasciato mio marito, un operatore finanziario di Wall Street laureato a una prestigiosa università, che conobbi a New York quando avevo 22 anni e mi ero appena laureata.
La notte che mi strangolò mentre facevamo sesso, tre mesi dopo l’inizio della nostra relazione: la considerai una cosa strana ma in qualche modo erotica (per lui, non per me).
Il giorno in cui ci trasferimmo nella stessa casa, e lui non mi rivolse parola perché un mio amico dell’università mi aveva chiamato per congratularsi per l’importante traguardo.
Il sabato in cui mi disse che stavo meglio senza trucco, e che quindi non avrei più dovuto metterlo.
La sera in cui mi stavo vestendo per uscire a cena e lui mi disse che ero una puttana perché la mia gonna era troppo corta.
La mattina in cui mi attaccò fisicamente per la prima volta (cinque giorni prima del nostro matrimonio): si giustificò, mentre teneva le mani attorno al mio collo, spiegando che gli ricordavo sua madre.
Un giorno della nostra luna di miele, quando mi diede un pugno così forte che sbattei la testa contro il finestrino della nostra macchina.
La notte in cui estrasse le chiavi dal blocchetto di accensione della nostra macchina mentre stavo guidando a 90 chilometri orari in autostrada.
Il giorno in cui mi disse che non avrei potuto passare il Natale con la mia famiglia.
La prima volta che minacciò di uccidere il nostro cane.
La prima volta che mi spinse giù dalle scale.
La prima volta che minacciò di premere il grilletto della pistola che teneva puntata alla mia testa, carica.
Ecco le ragioni per cui non lasciai mio marito:
Nessuno mi ha mai fatto sentire così protetta, amata, bella e importante come fece lui durante i primi mesi della nostra relazione.
Confusi la pietà che provavo per lui per amore: mi dispiaceva del fatto che fosse stato picchiato e lasciato senza cibo dal suo padrino, quando era piccolo.
Pensavo di essere l’unica donna che avrebbe potuto aiutarlo coi suoi problemi.
Fra una cosa e l’altra, mi faceva ancora ridere.
Lo amavo.
Solo Janay e Ray Rice sanno se la loro relazione ha avuto altri episodi di violenza a parte quello in ascensore, ma so bene che fatti del genere raramente rimangono isolati. Spesso fanno parte di uno schema preciso, che rimane lo stesso a prescindere dal livello di educazione, appartenenza etnica, genere e benessere economico delle due persone. Nella mia esperienza, le cose vanno così: grande storia d’amore. Isolamento da amici, famiglia, vicini e colleghi. Minacce di violenza. Atti di violenza. Scuse convincenti. Poi, si ricomincia da capo.
Una donna su quattro e un uomo su sette ha subito gravi atti di violenza all’interno di una relazione. Il periodo più rischioso per finirci dentro, per una donna, va dai 18 ai 34 anni. Mediamente occorrono sette atti di violenza – spesso compresi in un periodo di tempo di anni – perché la persona che subisce gli abusi – sia una donna sia un uomo – si convinca a troncare la relazione. Una volta che lo ha fatto, si trova in grande pericolo: molti degli omicidi di natura domestica accadono dopo l’interruzione di un rapporto di coppia.
Queste sono le cose che mi hanno aiutato a troncare quel matrimonio dopo quattro anni di atti brutali:
Il fatto di non avere figli.
Avere due amici che avevano sospettato della cosa, e che non mi giudicarono né mi obbligarono a lasciare mio marito prima che fossi pronta.
Due agenti della polizia che mi informarono che se avessi continuato a stare con mio marito, un giorno mi avrebbero ritrovata morta sul pavimento della sala.
Un esperto di violenza domestica che testimoniò davanti a un giudice spiegando che avevo bisogno di un ordine restrittivo nei confronti di mio marito (temevo che il giudice avrebbe creduto a mio marito, e non a me).
Mia madre, che mi diede 10mila dollari perché sapeva che i soldi avrebbero risolto almeno una parte dei miei problemi. Me li diede senza dire “te l’avevo detto”.
Un avvocato divorzista, che mi convinse a dare 3000 dollari a mio marito in un’unica soluzione, come parte della sentenza di patteggiamento di divorzio, cosicché l’uomo che un tempo consideravo la mia anima gemella pensasse che almeno mi aveva picchiata per una buona ragione. Sono stati i soldi meglio spesi della mia vita, perché non ho contatti con lui da vent’anni.
Il fatto che quando arrivai a dover scegliere fra me e lui, scelsi me.
Un giorno, forse, anche Janay Rice avrà la sua lista di momenti in cui rimpiangerà di non aver lasciato suo marito; come anche quella dei motivi per cui era rimasta con lui, e delle persone che avevano capito la complessa trama psicologica di una relazione violenta. Ogni persona sopravvissuta a una cosa del genere compila questo tipo di liste. Forse si chiederà anche perché durante la relazione violenta tutti le chiedevano “perché stai ancora con un uomo che ti picchia”, e nessuno si domandava cosa spingesse Ray Rice a picchiare la donna che amava.
Vorrei che il mondo potesse dare a Janay Rice e a tutte le vittime di una relazione violenta la dignità che meritano. Al posto di condannarla per essere innamorata di un uomo violento, educhiamoci all’esistenza della contorta situazione psicologica di una relazione violenta, cosicché potremo essere presenti nel momento in cui Janay Rice deciderà di lasciare suo marito – nel caso deciderà di farlo. Licenziare Roger Goodell, il capo della NFL, o incolpare la federazione stessa, non aiuterà in alcun modo né Janay Rice né altre vittime della violenza domestica.
Invece, dovremmo ritenere responsabili le persone che compiono queste violenze; loro, e nessun altro.
Fonte: ilPost
17 settembre 2014