Dopo l’annuncio della sua malattia in diretta su Radio Radicale, ha cominciato la chemioterapia. “La sopporto senza eccessivi disagi, sono disciplinata, rigorosa”. Indossa un turbante azzurro e verde che si è fatto lei con una tecnica imparata dalle donne africane. “Non ho paura, sono ottimista. Ho avuto una vita fantastica, gli affetti familiari, la politica radicale. L’importante è non diventare mai indifferenti a ciò che ci attraversa o ci sfiora”
di Giovanna Casadio e Dario Cresto-Dina
La casa di Emma Bonino è vicino a Campo dè Fiori. Piccola e allegra e orgogliosa come lei, ultimo piano, grande terrazzo pieno di piante in vaso, in questo momento la preferita di Emma è la clematide a fiori bianchi: “Sbocceranno a primavera, speriamo siano quelli giusti”. Per la verità ce ne sono già due che spuntano timidi, ingannati dal tepore fuoristagione. Grandi vetrate sulla Cancelleria e la cupola di San Pietro. “È il solo progetto “privato” che sono riuscita a portare a termine nella vita, questa casa. Era la casa del portiere più un lavatoio. L’ho comprata nel 2011, con i soldi prestatimi da mia sorella, tutti restituiti ormai. Appena l’ho vista ho detto: è qui che voglio invecchiare”.
Sul tavolino del salotto un album raccoglie il prima e il dopo, le coppie di fotografie appaiate ne raccontano la ristrutturazione passo passo e passo passo i suoi occhi si accendono mentre la descrive. La sua mente è un caos di cose e progetti illuminati, ma è anche un ambaradan sabaudo, dietro a ogni passione c’è uno studio rigoroso, uno spirito di applicazione mazziniano, il senso del dovere prima di tutto che la guida anche adesso nella battaglia contro la malattia. La “bestiola”, come la chiama lei. Oppure lo “stronzo”.
Dice: “Non ho paura, sono ottimista. Ho avuto una vita fantastica. Gli affetti familiari, la politica radicale, le amicizie, i grandi dolori, le solitudini. La cosa importante è saper provare, vivere, accettare e governare le emozioni, mai diventare indifferenti a ciò che ci attraversa o ci sfiora”. Indossa un turbante azzurro e verde: “Noi calvi di transizione abbiamo sempre freddo anche in casa, anche con il cappello”. Se l’è fatto lei il turbante, annodandosi sulla nuca una sciarpa di cotone con una tecnica imparata dalle donne africane: “Non ricordo più se in Senegal o nel Mali, durante la campagna contro le mutilazioni genitali femminili assieme a Khady Koita, donna meravigliosa e meravigliosa amica”. Ha preparato una cena di minestrone di verdure con pane croccante, vitello tonnato e uova sode, mozzarelline, cicoria ripassata e baci di Cherasco.
Come sta, Emma?
“Bene. Sopporto la chemioterapia senza eccessivi disagi. Sono disciplinata, dovreste vedere quanto sono rigorosa. Seguo accuratamente le disposizioni dei medici, i professori Claudio Santini e Enrico Cortesi. Mangiare tre volte al giorno, evitare la carne e i dolci, limitare i formaggi. Faccio colazioni nordiche o forse dovrei dire islandesi: pane, burro, tonno e capperi e una tazza di brodo, mi manca soltanto l’aringa. Ero abituata a un caffelatte e tre biscotti, ora riesco a mangiare solo salato. Non sento più i gusti. L’ordine dei dottori è non perdere peso. Dovrei tornare a com’ero prima di conoscere i radicali, una bella contadinotta bionda di 65 chili. Eppoi dormire, non viaggiare… “.
Non fumare.
“Sulle sigarette ho ottenuto una deroga. Via libera (con sospiro) persino dal mio amico Umberto Veronesi. Una ogni due ore, fino a dieci al giorno. Anzi, vi avverto che è giunta l’ora, ve ne tocca una”. (Si accende una Muratti, la penultima del pacchetto).
Il 12 gennaio, in diretta su Radio Radicale, ha fatto un outing coraggioso. Ha detto: io non sono il mio tumore e voi neppure siete la vostra malattia, dobbiamo pensare che siamo persone che affrontano una sfida che è capitata. Si è rivolta a una pattuglia di combattenti. Quanto è stato difficile pronunciare quelle parole?
“Mi è costato pensarle, metterle in fila una dopo l’altra, mostrare una mia fragilità intima. Io sono una piemontese riservata anche sulle disgrazie, da sempre provo a vivere sostenendo che il personale è politico ma credo anche che il privato non sia pubblico. Può sembrare uno scioglilingua ma spero si capisca. Ero emozionata, come se avessi dovuto annunciare un divorzio. Io che non mi sono mai sposata, pur avendo avuto due grandi amori, perché sono refrattaria alla convivenza, a quella disciplina alla quale ora la malattia mi ha costretta. O forse, pensandoci bene, sono stata una virtuosa per mancanza di tentazioni. Alla fine avere fatto quella confessione mi ha aiutata. Molti malati mi hanno scritto: grazie, ha aiutato anche me. Avere la consapevolezza che noi non siamo il nostro male, che siamo altro, che dobbiamo sforzarci di continuare a essere le stesse identiche persone di prima costituisce la nostra speranza e la nostra fede laica. So che mi devo occupare di questo stronzo e basta. Io o lui, vedremo chi la spunta. Ma non vado certo su internet a cercare che cos’è il microcitoma, oppure se mi conviene prendere l’aloe o qualche specie di bacca miracolosa… “.
In quei giorni i sondaggi dei giornali la piazzavano ai primi posti per l’elezione al Quirinale e lei va in radio a dire ho un cancro al polmone sinistro. Ha sentito il dovere di tirarsi fuori dalla mischia?
“È dal ’99 che non penso più al Quirinale. Ogni volta la partita del Colle è esilarante e opaca, tutti gli aspiranti devono guardarsi bene dal dirlo e intanto si muovono più o meno segretamente per garantirsi ogni tipo di appoggio. Io mi ero candidata alla luce del sole, sicura di poterlo fare senza dovermi vergognare come una ladra. Ebbi sedici voti. Questa volta grazie ai socialisti ventidue… Durante tutta la mia carriera politica mi sono sentita ripetere a più riprese: Emma, tu sei una figura molto amata in questo paese, un giorno o l’altro ti faranno un monumento! Avrei preferito essere amata di meno e votata di più”.
Sergio Mattarella sarà un buon presidente della Repubblica?
“È stato ministro quand’ero a Bruxelles, perciò l’ho incrociato pochissimo. Ha una struttura giuridica molto forte, qualità che sarà fondamentale per il ripristino e la difesa del diritto nel nostro paese e dello Stato di diritto che è l’unica base possibile di convivenza democratica”.
La laburista inglese Valerie Amos, vice segretario dell’Onu per gli aiuti umanitari lascerà l’incarico a marzo. Il governo italiano voleva proporre a Ban Ki-moon la sua candidatura. Lei ha dovuto arrendersi al principio di realtà e dire di no. È stato un grande dispiacere?
“Sì, è stata una dolorosa rinuncia. Ma non potevo fare altrimenti perché saprò soltanto a aprile o maggio quello che sarà di me. Era una cosa alla quale tenevo veramente perché gli aiuti umanitari, salvare vite umane, non è la realpolitik tanto di moda, ma sono un valore e come possiamo dirci persone senza di questo?”.
La sua sfida è anche riempirsi di futuro. Come lo sta facendo?
“Con l’agenda delle iniziative e degli appuntamenti. L’8 marzo, giorno del mio sessantasettesimo compleanno, sarò a Tunisi dove porteremo in scena lo spettacolo teatrale di Serena Dandini Ferite a morte. Sarà il suo debutto in un paese arabo, con attrici italiane e attrici tunisine. Dopo Tunisi mi piacerebbe il Marocco. Dopo ancora farò un mese di nuoto in Salento, per la terapia di ripristino del polmone. Dal 29 giugno al 10 luglio, andrò a Milano per Women for Expo, evento di protagonismo femminile voluto da anni, dal momento della candidatura di Milano vinta con il governo Prodi e Letizia Moratti, che curo con Marta Dassù, la Farnesina e una straordinaria rete di donne da tutto il mondo”.
Il terrorismo globale della jihad, le stragi di migranti, le mire espansionistiche di Putin, la rottura della Grecia, le derive populiste e razziste. L’idea dell’Europa, da lei tanto amata, annaspa. Perché?
“È la crisi temo definitiva del progetto federalista europeo. Dal 2008 in poi le misure politiche e economiche dei paesi Ue, se si eccettuano gli sforzi di Draghi, hanno mirato a una rinazionalizzazione degli interessi. E dopo Solana l’Europa ha dismesso completamente la sua politica estera comune tornando a una pratica intergovernativa evidentissima da tempo, al ritorno in auge degli stati nazione e dei nazionalismi, il che non è una bella idea, vista la nostra storia anche recente. Il problema non è perché la Mogherini non era a Minsk alla trattativa sulla crisi Russia-Ucraina, semmai perché non c’era Renzi”.
Che cosa l’Italia dovrebbe fare e non fa?
“Serve una politica rivolta al mondo islamico musulmano del Mediterraneo allargato che nessuno fa e per la quale l’Italia dovrebbe a mio avviso assumere ruoli di responsabilità non solo in chiave antiterrorista o antimmigrazione, ma a tutto campo. Siamo disponibili a assumere oneri o siamo ancora all’Europa ci lascia soli o a cancellare persino Mare nostrum perché costa 9 milioni di euro? Sono cose che non si possono neppure sentire… L’effettiva leader unica dell’Europa è Angela Merkel, meno male che c’è lei e che ci provi, ma allora o si decide di eleggerla presidente degli Stati Uniti d’Europa, e io la voterei pure, oppure prendiamo atto che l’obiettivo dell’unione politica europea è almeno al momento congelato, e se ne tirano le conseguenze a livello di paese”.
Tra gli scaffali dei libri ci sono due fotografie di Emma Bonino con Marco Pannella. Si abbracciano e ridono. Una, in bianconero, è del 1977, l’età dell’entusiasmo e delle battaglie vinte o che si stavano per vincere. L’altra è del 1999, l’anno del 9 per cento alla Lista Bonino, il più grande successo dei radicali. Dice Emma: “Ho avuto il privilegio di avere due famiglie straordinarie, ognuna a modo suo. I miei genitori. Mia sorella Domenica, mio fratello Giovanni, mia cognata e i miei tre nipoti con relative famiglie e pronipoti. E la casa dei radicali. Con Marco il rapporto è sempre stato bellissimo e complesso. Lui è francofono e latinista, io anglosassone, a lui basta uno slogan, io voglio capire titoli e sottotitoli, io sono ordinata e precisa come la mia scrivania, lui è la sua scrivania, è come mangia o non mangia, ma Marco è senza dubbio un tagliando assicurativo contro la mediocrità. Quando ho detto che avevo un tumore ha risposto: “Ah, io ne ho due””.
Le domandiamo quanti incoraggiamenti ha ricevuto dai colleghi della politica. “Moltissimi sms, molte telefonate. Ho risposto a tutti: grazie, ora vedete di trovare il modo di fare una legge per il fine vita che ci eviti l’umiliazione di andare in Svizzera per poter vivere liberi fino alla fine, che è lo slogan della campagna dell’Associazione Luca Coscioni. Proprio così, dal corpo dei malati al cuore della politica. Beh, nessuna replica, come se li avessi sterminati tutti con una Colt 45 o con il Ddt”.
Fonte: La Repubblica
16 febbraio 2015