LA CRISI UCRAINA – Frutta e verdura invadono i supermercati veneti, i prezzi crollano. La Gambaro, azienda agricola di Noale, costretta a non rinnovare i contratti
VENEZIA – È bastato pazientare un paio di settimane per scoprire che la guerra di Crimea è diventata il paradigma della globalizzazione. Perché la chiusura del confine russo alla frutta e alla verdura europee ha messo in ginocchio i produttori veneti a causa della concorrenza polacca, lituana, tedesca e olandese. Difficile da capire? No. È purtroppo semplicissimo. Il problema non sono più solo i dieci, venti o trenta camion che la singola azienda veneta non riesce a mandare oltre il confine ucraino- russo di Donetsk, ma le centinaia di bilici che stanno arrivando dalla Polonia, dai Paesi dell’Est e dal Nord Europa per rifornire le catene dei supermercati italiani. Rimasti orfani del mercato russo, gli agricoltori e i coltivatori di tutto il continente si stanno facendo una concorrenza spietata che ha già cominciato a far crollare il prezzo dei prodotti alimentari. «Le aziende polacche che prima vendevano in Russia sono diventate improvvisamente nostri concorrenti – spiega Gabriele Bissolo che è a capo dell’omonimo gruppo internazionale dell’agroalimentare che produce nel Veronese, in Repubblica Ceca e in Biellorussia -. I produttori stanno vendendo frutta e verdura ai supermercati e alle catene commerciali a prezzi bassissimi, troppo bassi per noi veneti».
Il suo gruppo che fattura circa 20 milioni di euro di cui 12 legati all’export sta valutando di lasciare le mele sugli alberi per evitare di trovarsi i magazzini straripanti di merce destinata ad andare a male. Mele come la Granny-Smith (la mela verde, quella un po’ acidula, nella foto a lato) erano state ripiantate quasi esclusivamente per il mercato russo. «Se Mosca non riapre in fretta i confini quelle mele resteranno sulle piante», continua Bissolo che sui cento e passa milioni di euro messi a disposizione da Bruxelles per risarcire i danni dell’embargo si limita a sorridere amaro. A conti fatti, quei soldi bastano appena per dieci aziende come la sua, ma in Europa – inutile dirlo – le imprese del settore sono molte di più. Gli interessi in gioco inoltre sono più complessi di ciò che può sembrare. Il blocco dell’agroalimentare verso la Grande Madre Russia produce anche una serie di vantaggi. Quello che per i produttori agricoli si sta rivelando un dramma che mette a rischio fatturati e posti di lavoro, per i supermercati, per le catene commerciali e per i negozi di ortofrutta è un grosso vantaggio.
In sole due settimane (dall’inizio del blocco russo) i prezzi si sono già abbassati notevolmente al punto che per alcuni produttori è diventato sconveniente distribuire la merce. «Io ho mandato subito i miei commerciali in giro per il mondo perché non voglio lasciare a casa nessuno e perché voglio salvaguardare il fatturato, ma il settore agricolo sta rischiando», conclude Bissolo. Anche se venisse tolto l’embargo nei prossimi giorni, i supermercati russi in queste due settimane hanno già stretto nuovi accordi con i produttori serbi, macedoni e tagiki (non bloccati dall’embargo) che oggi stanno diventando sempre più forti perché stanno lavorando senza concorrenti e che a breve potrebbero saturare il mercato temporaneamente lasciato libero dagli europei. «Servono subito iniziative forti – sbotta Barbara Gambaro che a Noale nel Veneziano ha 9 ettari di serre specializzate nella produzione di rucola e insalata a fogliolina già confezionate -. Io ho un’azienda piccola e in due settimane ho già perso 60 mila euro. Se continua così entro la fine dell’anno avrò perso un milione ».
La preoccupazione è proprio verso il futuro delle esportazioni che domani, anche dopo la riapertura dei confini, potrebbero non essere della stessa entità. Per questo Gambaro ha dovuto mettere in ferie forzate i suoi venti dipendenti lasciando al lavoro altrettanti stagionali. «Con la fine delle ferie, se non riaprono i confini non posso rinnovare gli stagionali. Dovrò lasciare venti persone a casa e dovrò annullare gli ordini degli imballi in cui faccio viaggiare la merce». Tra una settimana la crisi potrebbe dunque estendersi all’indotto. Perché al confine russo non si fermano solo mele e insalata. Ma anche le vaschette di plastica, le scatole di cartone e naturalmente i camion.
Fonte: Corriere del Veneto
30 agosto 2014