Avvicinandosi in barca a Hart Island, si scorgono tanti cilindri di plastica bianca, a poca distanza l’uno dall’altro: ciascuno di quei cilindri è il segno di mille corpi di bambini che in comune hanno il non essere mai nati veramente o di essere morti troppo presto o troppo poveri. Quest’isola che non c’è, dove si trovano migliaia di piccoli corpi di bambini che non diventeranno mai grandi, si trova nel cuore di New York. E’ un cimitero comune che ospita circa “un milione di morti, senza nome, famiglia, identità e nemmeno il diritto a un segno che aiuti a ritrovarne, eventualmente, le tomba”.
Fosse comuni dove ogni anno si riversano oltre 1500 cadaveri: fra questi moltissimi bambini nati morti, senza tetto, cadaveri che nessuno reclama e che dopo qualche settimana di obitorio devono trovare una destinazione.
Hart Island è stata nel corso del tempo carcere, manicomio, terra abbandonata a se stessa, prima di diventare un cimitero. E sono stati proprio i detenuti di Riker’s Island a scavare fosse per pochi centesimi di guadagno per dare sepoltura ai cadaveri senza nome e a lasciare un segno su quelle fosse comuni, “qualcosa che possa, in qualche modo, cancellare un po’ di quella disperazione e di quella desolazione.
“Hart Island – ha spiegato Melinda Hunt, a capo dell’iniziativa Hart Island Project che ha lo scopo di rendere il cimitero un posto accessibile e visibile – e’ il cimitero piu’ grande degli Stati Uniti, e ogni anno vi arrivano circa 1.500 defunti. E’ gestito dalle autorità penitenziarie, e l’accesso e’ quasi impossibile”. Le istituzioni cittadine sostengono che non vi sono infrastrutture per ospitare visitatori. In questo luogo di fantasmi, viceversa, ci sono molti edifici abbandonati, fatiscenti e pericolosi. Solo dopo enormi pressioni sono state consentite visite sporadiche, a partire dal 2007.
Le istituzioni cittadine sostengono che non vi sono infrastrutture per ospitare visitatori. In questo luogo di fantasmi, viceversa, ci sono molti edifici abbandonati, fatiscenti e pericolosi. Solo dopo enormi pressioni sono state consentite visite sporadiche, a partire dal 2007.
Tuttavia ai parenti e’ toccato piangere a distanza, da un gazebo, e non sulle tombe. “Non si vede niente – ha detto una donna che nel 1978 ha perso la figlia di soli cinque giorni – poi ti controllano l’identità ti fanno lasciare il cellulare e mettono sotto chiave tutti gli oggetti personali. Piu’ che visitatori sembra essere dei detenuti”.
12 aprile 2014