Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di Francesco Rocca
Anch’io ho paura dell’ebola. Perché mi costringe a guardare in faccia la società in cui vivo. E non mi piace quello che vedo. Perché dietro al tema ebola, ancora una volta, si nasconde quell’ignoranza e quella paura del diverso. Perché ieri come oggi è più facile trovare un nemico e semplicemente respingere il problema.
Ho paura dell’ebola che fa issare bandiere contro un’improbabile emergenza sanitaria in arrivo sui barconi rappresentati come carriaggi appestati. Ho paura dell’ebola che fa produrre ordinanze di divieto di dimora anche solo temporanea per tutti quegli uomini e quelle donne provenienti dall’Africa tutta. Ho paura dell’ebola che alimenta quel sospetto verso il prossimo fino a togliere anche il più semplice gesto di pace rappresentato da due mani che s’incontrano. L’allarme c’è ed è giusto sottolinearlo. Ma, come ha già fatto l’Oms sostenendo che i sistemi sanitari dell’Occidente sono così strutturati ed efficienti da rendere improbabile un’epidemia del virus in Europa e negli Stati Uniti, dobbiamo far capire che l’emergenza adesso è in Africa.
Già, siamo di nuovo al sicuro. Nelle nostre belle case e nei salotti a guardare quei bambini con la mosca sul naso per poter esclamare “Povera Africa!”. Un continente dove la sanità pubblica, che già era traballante, ora è al collasso. Dove si va per sfruttarne le risorse e poi pulirsi la coscienza con qualche donazione. L’ebola è sì un virus pericoloso e da combattere. Non è mia intenzione minimizzare su questo. Ma è soprattutto una creatura di un disinteresse reale da parte dell’Occidente che invece ora può fare tanto, con risorse economiche e umane. È il momento di agire, questo lo dicono tutti, ma va fatto subito.
Non vogliamo arrivare a registrare fino a 10.000 nuovi casi a settimana, così com’è nelle previsioni. Non vogliamo che gli sforzi che tutte le più grandi ong e associazioni, compreso il nostro Movimento di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, siano vani. Intanto l’Europa prova a fare la sua parte. Ma sembra più orientata di nuovo a proteggere i suoi confini piuttosto che a sventare il virus nel suo focolaio originario. Certo, bisogna prendere tutte le misure. Come sta facendo il Ministero della Salute con la creazione di una task force interministeriale e il rafforzamento del personale degli uffici sanitari in porti e aeroporti.
Anche noi di Croce Rossa Italiana stiamo facendo la nostra parte. Mettendo a disposizione i nostri uomini più qualificati e le nostre ambulanze speciali dotate di barelle chiamate Isoarc, ad alto bio contenimento e munite di appositi filtri ad altissimo livello di protezione, uniche in Europa e pronte per fronteggiare eventuali casi sospetti di ebola in arrivo all’aeroporto di Fiumicino. Ma intanto la febbre emorragica Ebola ha fatto 4.493 morti su 8.997 casi registrati in sette paesi (Liberia, Sierra Leone, Guinea, Nigeria, Senegal, Spagna e Usa). Dati raccolti dall’Oms fino al 12 ottobre scorso. Solo l’8 ottobre erano 4.033. In pratica cinquecento morti in soli 4 giorni.
Un intervento immediato, ma anche una corretta informazione. Ad esempio sul fatto che l’influenza è molto più contagiosa dell’ebola. Che il virus si contrae da persone che hanno già i sintomi della malattia o dai loro cadaveri. E che le principali cause di morte in Africa restano la malaria, la tubercolosi e l’Hiv: i numeri di queste malattie sono ancora lontani da quelli causati da ebola. Senza ricevere però la stessa attenzione o meglio lo stesso allarmismo.
E quindi? Che s’intervenga immediatamente e seriamente subito in Africa. Noi siamo attrezzati per fare la nostra parte se si dovesse verificare un caso qui. Nel frattempo si abbassassero pure quelle bandiere che usano questa nuova scusa per mascherare il proprio egoismo, cercando consenso sulla paura dell’ignoto e dello sconosciuto.
18 ottobre 2014