di Roberto Manna
Roma. «O questo sindacato cambia o è destinato a morire». Maurizio Landini è il segretario generale della Fiom, il più antico sindacato italiano, ancora il più prestigioso. Prima di lui sono stati segretari generali dei metalmeccanici della Cgil Luciano Lama, Vittorio Foa, Bruno Trentin. È un pezzo della storia sindacale italiana. Landini non parla il sindacalese, appartiene a una nuova generazione di dirigenti senza più tessere di partito che ha abbracciato l’idea del sindacatomovimento. In questa intervista ammette — forse è la prima volta per un sindacalista — che le grandi organizzazioni sindacali non sono più rappresentative tra i lavoratori, sia tra quelli tutelati, sia tra i precari, giovani ed anziani.
Landini, sta dicendo che lei guida un sindacato moribondo?
«Io dico che c’è una crisi di rappresentanza che riguarda tutto il sindacato, senza distinzioni. Penso che il sindacato vada ricostruito».
Rifondato?
«Non mi piace questa parola. Ma il sindacato è in grande difficoltà. Se vuole avere un futuro deve cominciare a fare i conti con il fatto che si trova all’interno di una profonda crisi di rappresentanza, che interessa anche la politica come le associazioni delle imprese. Perché se è vero che sempre più cittadini non vanno a votare, è anche vero che la maggior parte dei lavoratori non è iscritto ad alcun un sindacato. Ci sono milioni di precari, giovani ma non solo, che non vedono nelle organizzazioni sindacali un soggetto che li possa rappresentare ».
Se ne sta accorgendo un po’ in ritardo. Cosa ha fatto la Fiom per impedire questa tendenza?
«Intanto chi pensava (e noi non eravamo tra questi) che il caso Fiat fosse un episodio, ora è costretto a ricredersi con il blocco da otto anni dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, con gli accordi separati nel commercio, con la disdetta del contratto nazionale da parte delle banche. Ormai una larga parte dei lavoratori è senza il contratto nazionale. Noi ci siamo opposti a questo. Abbiamo difeso i diritti dei lavoratori in fabbrica e prospettato un’idea di società diversa. Lo considero un punto importante. E comunque: o si cambia oppure il modello Fiat porterà alla morte dei sindacato generale confederale e all’affermazione del sindacato aziendale. Bisogna avere il coraggio di voltare pagina».
Come?
«C’è bisogno di più democrazia nel sindacato. I lavoratori devono poter votare sempre sui contratti e gli accordi che li riguardano. Dobbiamo rappresentare i precari non solo a parole. Non possiamo continuare a scaricare su di loro il peso di molti accordi che facciamo».
In concreto cosa vuol dire?
«Che 280 contratti nazionali sono troppi. Che basterebbe un contratto e un sindacato dell’industria che preveda le stesse tutele e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni tra tutti i lavoratori. Dobbiamo puntare a ripristinare le pensioni di anzianità per il lavoro di fabbrica, per chi guida i treni, per gli infermieri… Non è un privilegio, ma un diritto».
Cosa rimprovera al segretario generale della Cgil Susanna Camusso?
«La Cgil sta avviando il suo congresso. Spero che si possa svolgere una discussione aperta, che valorizzi tutti i punti di vista. Più in generale credo che la crisi del sindacato nasca dal fatto che in questi anni non sia stato capace di tutelare le condizioni di chi lavora, c’è stato un secco arretramento. E se le persone stanno peggio vuol dire che anche noi abbiamo sbagliato. E poi: c’è stata una caduta di autonomia rispetto ai governi e alla politica. Non si può cambiare a seconda del governo e della maggioranza ».
Fonte: laRepubblica
8 novembre 2013