Tina Anselmi: “Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini”
Un film in arrivo, “Suffragette”, per celebrare degnamente un anniversario importante per tutte. La libertà di eleggere, e di essere elette. E il film arriva in un periodo denso di ricorrenze legate al voto femminile: esattamente cent’anni fa, il 23 ottobre 1915, lungo la Quinta Strada di New York, quasi 30 mila donne marciavano chiedendo il suffragio universale, mentre il 21 ottobre del 1945, in Francia, il diritto di voto è stato esteso alle donne.
In Italia invece, nonostante il fatto che di emancipazione femminile comincino a parlare personalità eccellenti come Gioberti e Mazzini attorno alla metà del diciannovesimo secolo, nell’immaginario collettivo la donna è ancora confinata nell’ambito domestico e familiare e chi, per necessità, è costretta a lavorare si ritrova a subire una condizione di sfruttamento assoluto.
L’elaborazione della dottrina sociale cattolica, che prende il via nel 1891 con l’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, chiede migliori condizioni di lavoro per le donne. La battaglia per il suffragio universale viene invece portata avanti dal Partito Socialista, che si scontra però con il rifiuto di Giolitti, il quale equipara il voto alle donne ad “un salto nel buio” di cui il governo non si sarebbe potuto assumere la responsabilità.
Insomma, le donne e il diritto di voto: un fatto che dovrebbe essere scontato ma che fino alla metà del secolo scorso non lo era affatto. Scorrendo la classifica mondiale dei paesi che per primi hanno approvato il suffragio femminile, in testa c’è la Nuova Zelanda nel 1893, seguita dall’Australia e dai paesi scandinavi ai primi del ‘900, poi dalla Russia, con la Rivoluzione d’Ottobre, la Gran Bretagna e la Germania dopo la Prima guerra mondiale e gli Stati Uniti nel 1920. L’Italia approva il suffragio femminile soltanto alla fine dell’ultima guerra.
Fu infatti il 2 giugno 1946 quando milioni di donne italiane, per la prima volta, andarono tutte assieme alle urne (due mesi prima c’era stata una prova generale con alcune amministrative) per esprimere il loro voto. Chiamate a scegliere tra Monarchia e Repubblica nel referendum, contribuirono a quei 12.718.641 voti che decretarono l’esilio di casa Savoia e l’inizio del percorso che avrebbe portato, nel 1948, alle elezioni per il primo governo di maggioranza. Una vicenda bellissima, frutto di anni di dibattiti, di lunghe battaglie politiche, sociali, culturali.
Tina Anselmi, grande protagonista della Resistenza e della Prima Repubblica, così scrisse di quei giorni: “E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vi a le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica!”
La scrittrice e saggista Maria Bellonci (ideatrice del premio Strega), così invece ricordava quel giorno: “Anche per me, come per tutti gli scrittori, e come per tutti quelli che sono avvezzi a mettere continuamente se stessi al paragone delle cose, gli avvenimenti più importanti di quest’anno 1946 sono fatti interiori; ma è un fatto interiore – e come – quello del 2 giugno quando di sera, in una cabina di legno povero e con in mano un lapis e due schede, mi trovai all’improvviso di fronte a me, cittadino. Confesso che mi mancò il cuore e mi venne l’impulso di fuggire. Non che non avessi un’idea sicura, anzi; ma mi parvero da rivedere tutte le ragioni che mi avevano portato a quest’idea, alla quale mi pareva quasi di non aver diritto perché non abbastanza ragionata, coscienziosa, pura. Mi parve di essere solo in quel momento immessa in una corrente limpida di verità; e il gesto che stavo per fare, e che avrebbe avuto una conseguenza diretta mi sgomentava. Fu un momento di smarrimento: lo risolsi accettandolo, riconoscendolo; e la mia idea ritornò mia, come rassicurandomi.”
In Italia più che in altri paesi il cammino che ha portato la donna al seggio elettorale è lungo e difficoltoso, a partire dal lontano 1877, quando Anna Maria Mozzoni, considerata la pioniera del nostro femminismo, presentò al Parlamento la prima petizione a favore del voto femminile. Da allora ci sono voluti altri settant’anni prima che le donne italiane potessero cominciare ad esprimere la propria opinione politica attraverso il voto, con le elezioni amministrative e poi col referendum del 1946, appunto. Così, le donne si ritrovano non solo a poter votare ma anche a essere soggetti passivi di quel diritto che per allora rappresenta per loro un’enormità. Si ritrovano a poter essere elette. Sono 21, all’incirca il 4%. Nove comuniste, nove democristiane, due socialiste e una eletta tra i candidati dell'”Uomo Qualunque”. Cinque di loro vengono addirittura a far parte della “Commissione dei 75”, l’organismo incaricato dall’Assemblea di formulare la proposta di Costituzione da portare e dibattere in aula. Sono Angela Gotelli (Dc), Maria Federici (Pci), Nilde Iotti (Pci), Angelina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci).
25 ottobre 2015