La partita fra i due paesi europei dal terreno economico si sposta a quello calcistico.Il bello è che questa volta la nostra Nazionale può batterla
BERLINO. Vinciamo noi, vincono loro, gli azzurri di misura, i bianchi in modo esagerato, e già si profila l’eterno duello tra Italia e Germania. Ieri e l’altroieri in Europa, domani forse in Brasile. I tedeschi si vedono campioni del mondo. Noi forse anche, ma crediamo alla scaramanzia e preferiamo non dirlo ad alta voce. Campioni purché non incontrino Balottelli e compagni. Nel 1970 nella messicana Toluca in semifinale, nel 1982 nella finale spagnola, nel 2006 in casa a Dortmund sempre in semifinale, e infine due anni fa ancora in semifinale in Polonia, hanno sempre perso nonostante le previsioni della vigilia. Italia-Germania è il derby d’Europa. Più che una partita, una sorta di tragicommedia con eterno lieto fine per noi.
Der Spiegel, da settimanale d’élite, un po’ si vergogna di occuparsi di Fussball e la prende alla lontana, intervistando un professore universitario di Amburgo. Il docente scopre l’acqua calda sulla psicologia del gioco, degli atleti e dei professionisti, cose che ogni tifoso conosce. Ricordo il saggio del solito sociologo britannico, che spiegava, anni fa, perché nessuna squadra indossa maglie verdi: si confonderebbero con il manto erboso: non aveva mai visto il Werder Bremen, l’Avellino o la Nigeria? E neanche rosa perché troppo effeminate. Mai stato neanche a Palermo? Ma il collega dello Spiegel non gli ha chiesto perché la nazionale di Frau Angela perde sempre contro l’Italia. Probabilmente temeva la risposta.
Napolitano è rimasto saggiamente a casa, la Cancelliera è invece volata in Brasile ad applaudire i suoi, in giacca rosa, guarda un po’, e pantaloni bianchi. Questo per ribadire, se fosse necessario, quanto sia importante il calcio anche in Germania. Però quel che interessa sono gli effetti secondari sui nostri rapporti bilaterali. Ci temono, e sono cominciati gli sfottò scaramantici. In uno spot di Media Markt si vede un gruppo di italiani, gesticolanti e vocianti, che porta in lavanderia una maglia azzurra. Ma la lavatrice la trasforma nella maglia bianca teutonica. Una pubblicità razzistica, perché ci mostrano sempre gesticolanti?, ha denunciato subito un giornale italiano online di Berlino, per la cronaca ben fatto. La notizia è che la stragrande maggioranza dei lettori non è caduta in tentazione: che c’è di male?, mi sono divertito, non parliamo un po’ troppo con le mani?, commentano.
Per replicare, il giornalista ha ricordato un altro spot, sempre di Media Markt, del 2008: un italiano baffuto, chiamato Toni, con tanto di pesante catena d’oro al collo, si vantava di comprare gli arbitri. Anche allora proteste, tanto che la ditta ritirò la pubblicità, ma gli italiani berlinesi, quelli di sinistra, sostennero che non c’era nulla di offendersi. Bisogna avere un po’ di ironia. In fondo, l’ultimo spot dimostra solo che non c’è da fidarsi dei detersivi Made in Germany. Io ho imparato a mie spese, e da molto tempo, a non fidarmi delle lavanderie prussiane.
Con la vittoria, ricompaiono le bandierine tedesche sulle auto, qualcuno ne inalbera perfino quattro. Otto anni fa, ci si preoccupò per la rinascita del nazionalismo germanico. Il IV Reich dietro l’angolo? Non capisco perché un ventenne tedesco non possa festeggiare la sua squadra come un coetaneo francese, spagnolo o italiano. Credo che i veterani delle SS ancora al volante siano molto pochi. Si allarmò anche qualche collega di Berlino. Lei non si preoccupa? Mi chiese in un’intervista alla radio. Nein, risposi. E perché non si preoccupa? Perché si preoccupa lei, ogni domenica negli stadi italiani qualche tifoso sventola croci uncinate e nessuno si preoccupa.
La solita Bild informa che ogni bandierina aumenta il consumo dell’auto dello 0,3%. E anche di questo i tifosi non si preoccupano. Un buon segno, i tedeschi cambiano e non pensano solo al risparmio come in passato. Come è rassicurante che gli italiani siano diventati meno permalosi, e sappiano ridere di chi li prende in giro. Con buon gusto o no, è un’altra questione. Ho letto una cronaca italiana in cui si nota che «Frau Angela applaudiva come un pinguino». Ecco, questo è un insulto, l’ironia è un’altra cosa.
19 giugno 2014