Migliaia di libici sono stati uccisi e feriti come diretta conseguenza dell’intervento della NATO; secondo, la guerra ha trasformato la Libia in “feudi” belligeranti armati e sostenuti da potenze regionali e internazionali. Le centinaia di milizie esistenti oggi in Libia, hanno privato i libici di qualsiasi senso di sicurezza e hanno esposto la popolazione civile a una realtà bellica di cui, apparentemente, non si vede la fine. Terzo, migliaia di libici o di africani che una volta chiamavano patria la Libia, si sono trovati a fuggire dalla guerra usando qualsiasi possibile mezzo di trasporto. Diecine di migliaia di loro hanno trovato rifugio in Europa, mentre migliaia di altri sono morti tentando di arrivarvi
di Ramzy Baroud*
Il 26 aprile 2011, si svolse un incontro che può essere definito sinistro, tra l’allora primo ministro italiano, Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicolas Sarkozy (foto a lato). L’argomento più incalzante discusso all’incontro di Roma era il modo in cui occuparsi degli immigrati africani.
Sarkozy che era sotto pressione da parte del suo elettorato di destra e di estrema destra per fermare l’immigrazione che aveva origine in Nord Africa (in seguito all’insurrezione in Tunisia) desiderava raggiungere un accordo con l’opportunista leader italiano. In cambio di un’intesa con l’Italia per unirsi a un’iniziativa intesa a rendere più severo il controllo al confine (l’Italia è accusata di permettere agli immigrati di attraversare i confini per andare nel resto d’Europa) la Francia, a sua volta, avrebbe risolto importanti dispute comprendenti una serie di acquisizioni che coinvolgevano società francesi e italiane. L’Italia, inoltre, si sarebbe assicurata l’appoggio a una richiesta fatta dall’economista e banchiere italiano Mario Draghi, di diventare Capo della Banca Centrale Europa.
Un altro punto sull’agenda francese era la partecipazione italiana attiva nella guerra contro la Libia, inizialmente capeggiata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti e in seguito sostenuta dalla NATO.
Inizialmente Berlusconi ha esitato a prendere parte alla guerra, anche se certamente non per alcuna ragione morale: per esempio, perché la guerra era deliberatamente basata su un’interpretazione fraintesa della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 17 maggio 2011. La risoluzione chiedeva un ‘cessate il fuoco immediato’, l’istituzione di una zona interdetta ai voli e l’uso di tutti i mezzi, tranne l’occupazione straniera per ‘proteggere i civili’. La guerra, tuttavia, raggiunse obiettivi completamente diversi da quelli dichiarati nella Risoluzione. Ha ottenuto un cambiamento di regime, la cattura e l’assassinio sanguinoso del leader libico, Muammar al-Gheddafi e ha avuto come conseguenza un bagno di sangue in cui migliaia di civili sono stati uccisi e continuano a morire, a causa del caos e della guerra civile che da allora ha attanagliato la Libia.
Il cambio di opinione di Berlusconi aveva poco a che vedere con il buon senso e molto a che vedere con il petrolio e il gas. Da una parte, quasi un quarto del petrolio dell’Italia era importato dalla Libia, oltre a quasi il 10% del gas naturale del paese. Destabilizzare la Libia poteva interrompere il flusso delle forniture libiche di petrolio, in un momento in cui l’Italia stava cercando disperatamente di riprendersi dalla sua profonda recessione economica.
D’altra parte, avere la Francia (che sembrava nello stato d’animo di intervenire perché, subito dopo la guerra in Libia, ha marciato conto il Mali) con in mano tutte le carte in Libia, poteva essere devastante per l’Italia. All’epoca il Financial Times riferiva che: “Il diverbio franco-italiano sull’immigrazione ha nette differenze riguardo alla Libia, dove Roma è trascinata in una guerra che preferirebbe evitare, temendo che un legame Parigi-Bengasi taglierebbe fuori i suoi considerevoli interessi nel petrolio e gas libici.”
L’incontro di successo tra i due leader ha aperto la strada all’intervento dell’Italia che prese parte per davvero alla guerra contro la Libia il 28 aprile. Nel frattempo la Francia ha mantenuto la sua parte dell’accordo, e il 1° novembre di quello stesso anno, Mario Draghi è succeduto a Jean-Paul Trichet come Presidente della Banca Centrale Europea.
Entrambi i paesi ne hanno beneficiato, anche se la Libia è stata distrutta.
E’ difficile immaginare che Berlusconi, un politico ripugnante e corrotto anche in base ai bassi standard della politica italiana, operasse sulla base di qualche standard morale, a parte i suoi guadagni e il suo interesse personale. In realtà, né la sua “amicizia” con il governante libico di lunga data, Gheddafi, né i molti benefit e i massicci profitti ricevuti dalla Libia sono stati sufficienti a fargli onorare il suo impegno a non partecipare a una guerra che chiaramente non mirava a salvare delle vite, ma a mantenere l’accesso alle forniture di energia della Libia.
Ugualmente interessante è il fatto che la Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, era stata promossa dai suoi sostenitori come risoluzione intesa a proteggere i civili da un massacro imminente che stava per essere compiuto dall’Esercito libico a Bengasi. Indipendentemente da quelle che erano le intenzioni di Gheddafi, la guerra della NATO si è conclusa con indicibili sofferenze tra i civili libici su tre fronti diversi.
Primo, migliaia di libici sono stati uccisi e feriti come diretta conseguenza dell’intervento della NATO; secondo, la guerra ha trasformato la Libia in “feudi” belligeranti armati e sostenuti da potenze regionali e internazionali. Le centinaia di milizie esistenti oggi in Libia, hanno privato i libici di qualsiasi senso di sicurezza e hanno esposto la popolazione civile a una realtà bellica di cui, apparentemente, non si vede la fine. Terzo, migliaia di libici o di africani che una volta chiamavano patria la Libia, si sono trovati a fuggire dalla guerra usando qualsiasi possibile mezzo di trasporto. Diecine di migliaia di loro hanno trovato rifugio in Europa, mentre migliaia di altri sono morti tentando di arrivarvi.
Pochi nel governo italiano si preoccupavano di ricordare il ruolo del loro paese nella guerra alla Libia che, malgrado una prima esitazione, è stata accettata con il massimo entusiasmo. I profughi che sono abbastanza fortunati da riuscire ad arrivare sulle coste dell’Italia, sono costantemente demonizzati dai media italiani e vengono percepiti come un peso per l’economia italiana che è ancora in difficoltà. Ciò che dimenticano è che, grazie al petrolio e al gas della Libia di prezzo ragionevole e trasportati spendendo poco, l’economia italiana si è mantenuta a galla per anni. I poveri profughi non sono tanto un peso così grande per l’economia italiana rispetto al peso che l’Italia è stata per la Libia e, di fatto per l’intera Africa.
La Libia era stata colonizzata dall’Italia dal 1911 al 1943, ed è stata cacciata via insieme con i suoi soci nazisti dalla resistenza locale e infine dagli alleati nella II Guerra mondiale. E’ staro soltanto nel 1998 che l’Italia ha chiesto scusa per il peccato della colonizzazione del paese che è avvenuta a un prezzo terribilmente caro di morte e distruzione. Tuttavia, 11 anni dopo, l’Italia, che si presumeva fosse tormentata dai rimorsi, bombardava di nuovo la Libia per assicurarsi il flusso di petrolio a buon mercato per tenere alla larga gli immigrati e i profughi africani.
E la sanguinosa guerra del 2011 non è stata un’eccezione. Quattro anni dopo quella guerra, l’Italia ancora una volta iniziò a chiedere un’altra guerra contro la Libia perché, chiaramente i desiderati obiettivi della prima guerra non erano stati raggiunti: gli immigrati e i profughi, malgrado i gravi rischi e un crescente bilancio di vittime, continuavano a riversarsi in Italia e il flusso di petrolio e gas era stato interrotto da una guerra civile tra gli alleati della Libia della NATO. C’è però un altro fattore, secondo Marianne Arens: “Le minacce di guerra per la Libia servono anche a deviare l’attenzione dalle crescenti tensioni interne sociali e politiche” nella stessa Italia.
Il rapporto tra la guerra e la crescente sfida di profughi, immigrati e di coloro che cercano asilo, non può essere ingigantito. E’ ironico e anche triste che le molte migliaia di profughi di guerra cerchino ora rifugio nelle stesse nazioni europee e della NATO che, o direttamente (come in Libia, Iraq, Afghanistan) o indirettamente (come in Siria) hanno contribuito alla distruzione e alla destabilizzazione dei loro paesi.
Perfino la Grecia che sta mostrando poca pazienza o riguardo per le leggi umanitarie nel modo di trattare le molte migliaia di profughi che arrivano dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan passando per la Turchia, ha preso parte, anche se con un ruolo minore, alla guerra in Libia (nel 2011) e ha fornito assistenza alla guerra condotta dagli Stati Uniti contro l’Iraq (nel 2003).
Mentre commiseriamo molto la Grecia dato che è sull’orlo della bancarotta e che ha appena ottenuto un accordo con l’UE che potrebbe mantenere solvente il paese impoverito per i prossimi mesi, non si possono comprendere i maltrattamenti inflitti agli innocenti siriani e iracheni mentre affrontano il mare per scappare dalle guerre insopportabili nella loro patria. I greci che hanno avuto guerre terribili in passato, dovrebbero saperlo più di chiunque altro. Le scene nelle isole di Lesbo e di Kos sono, a dir poco, strazianti.
Tuttavia, i paesi che dovrebbero essere affrontati di più per la loro responsabilità morale verso i profughi di guerra, sono, quelli che per primi hanno acceso queste guerre. Mentre la Libia continua a scendere nel caos, e la Siria e l’Iraq sopravvivono in una situazione di bolgia, sia la Francia che la Gran Bretagna discutono del problema dei profughi che cercano di entrare in entrambi i paesi come se fossero nugoli di locuste e non persone innocenti che sono state rese vittime soprattutto dalle guerre di Stati Uniti ed Europa. Nel frattempo gli Stati Uniti, geograficamente lontani dalla crisi dei profughi, sembrano indifferenti alle scene caotiche di profughi disperati, di barche rovesciate, e di famiglie supplicanti.
Coloro che dichiarano guerra dovrebbero, almeno accollarsi parte della responsabilità di affrontare le orribili conseguenze che il conflitto armato infligge alle persone. L’esempio italiano mostra come gli interessi economici surclassano la moralità, e non un singolo paese della NATO, compresa la Turchia, è innocente.
Ora che la crisi degli immigrati sta peggiorando, tocca alla NATO occuparsi del problema, almeno con un certo grado di umanità e – oserei dire – con lo stesso entusiasmo che ha provocato parecchie guerre devastanti in anni recenti.
*Ramzy Baroud scrive di Medio Oriente sulla stampa internazionale, ed è consulente nel campo dei mezzi di informazione oltre che autore di vari libri e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story (Pluto Press, Londa). [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. Il suo sito web è: www.ramzybaroud.net
Traduzione di Maria Chiara Starace per www.znetitaly.org
2 settembre 2015