«Ho vissuto della solidarietà imprenditoriale». E allo Stato che denuncia che cosa chiede? «Di prestare attenzione agli imprenditori, prima che si suicidino. Per me non voglio aiuti: ho scoperto che mi piace non avere più niente, mi dà la libertà di fare qualunque cosa»
di Alessandra Coppola
L’orario d’ufficio se l’è scelto da solo, ma non si fa sconti: dalle 12 alle 20, pioggia o sole, inverno o primavera, Enzo «il guerriero» Prosperi è sul marciapiede della Rinascente. Un cuscino a righe infilato in una borsa di corda, uno zainetto nero di marca, la ciotola dell’acqua per i cani, un barattolo per le offerte: «Non faccio questo lavoro per i soldi – sorride -, ma per dimostrare dove può finire un imprenditore onesto».
Gli abiti un po’ consunti, ma eleganti. «Non ne compro da tempo, sono quelli che mi sono rimasti dalla vita precedente o che mi hanno regalato: ci tengo molto a vestire bene». La cravatta di seta, la camicia azzurra, la giacca che esibisce una griffe famosa. Direttamente dalla scrivania al lastrico. Un cartello plastificato, incollato a terra con lo scotch dichiara in stampatello: «Imprenditore rovinato dalla cattiva politica e dalla legge che non è uguale per tutti».
LA SOLIDARIETA’ DEI PASSANTI – Un uomo, due cani e un messaggio che attirano i passanti. «Anche io ho subito angherie – si avvicina un signore, ben vestito pure lui -, voglio parlarne un po’ con lei…». Enzo, praticamente, è qui apposta: «C’è gente che addirittura viene a chiedermi consigli». Si ferma, riflette: «La cosa più devastante quando uno perde il lavoro è che non sa a chi rivolgersi. E si attacca pure a una persona come me…». Gli si incrina la voce: «Riesco a fare molte cose per gli altri, ma niente per me stesso…».
Il capo della sicurezza della Rinascente lo conosce, anzi gli è amico, «brava persona», dice ammirato. Una signora chiede di potergli scattare una foto col cellulare, una aspirante videomaker gira qualche immagine, segna il suo numero di cellulare e promette di richiamarlo, dei ragazzini accarezzano Lolly, il pechinese nano che scodinzola libero. Boris, che è un chow chow più impegnativo, ma ugualmente socievole, resta invece al guinzaglio, legato a una gamba di Prosperi. «La mattina mi sveglio presto per accudire i cani, portarli al parco. Poi sistemo la mia casetta, verso le 12-13 sono qui in ufficio», tra i portici e il selciato del corso Vittorio Emanuele.
I TEMPI PIU’ BUI – È andata anche peggio in passato, «per un anno ho dormito in un cespuglio; di andare al dormitorio o a mangiare alla mensa dei poveri non se ne parla, io non sono un barbone». Ma in qualche modo, a sessantun’anni, s’è ritrovato a terra. Lui racconta di essere stato dirigente di una rete televisiva, tanti anni fa, di aver lasciato dopo una malattia e di essersi trasferito con la moglie in Toscana, in provincia di Arezzo. Lì ha aperto un centro di produzione tv, poi un supermercato. Quindi, sostiene, ha incontrato della brutta gente, dei truffatori, anche pericolosi, ed è stato coinvolto in una vicenda legale complicata e, a sentir lui, molto ingiusta. Che al principio nel nuovo millennio l’ha lasciato pregiudicato, disoccupato e separato. Lontano anche da figlia e nipote, rimaste in Toscana.
GLI AMICI SU FACEBOOK – «Dal 2000 ho cercato qualunque tipo di lavoro». L’eloquio è forbito , l’accento di un milanese leggero. «Eppure ho solo la licenza media: ma ho studiato all’università della vita». «Guerriero» l’hanno chiamato gli amici su Facebook. Con le esperienza più varie: «Sono maestro gelatiere e pasticciere». E quando se lo può permettere, grande cuoco di paella e crema catalana: «Mi piace molto cucinare, ho una passione per le ricette spagnole, preparo anche la sangria». Nel suo piccolo appartamento in prestito. «In questi anni ho incontrato molte persone che mi hanno aiutato». Soprattutto, colleghi: «Ho vissuto della solidarietà imprenditoriale». E allo Stato che denuncia che cosa chiede? «Di prestare attenzione agli imprenditori, prima che si suicidino. Per me non voglio aiuti: ho scoperto che mi piace non avere più niente, mi dà la libertà di fare qualunque cosa».
Fonte: Corriere.it/Milano