Riceviamo da Patrizia Toia e volentieri pubblichiamo:
si celebra oggi la quarta giornata europea per la parità retributiva.
Per la seconda volta si è scelto come data il 28 febbraio, che corrisponde al 59° giorno dell’anno, perché 59 sono i giorni che una donna dovrebbe lavorare in più per guadagnare quanto un uomo.
In Europa, infatti, secondo i dati pubblicati oggi dalla Commissione Europea, le donne continuano a lavorare 59 giorni a salario zero.
Il differenziale retributivo di genere, cioè la differenza media tra la retribuzione oraria di uomini e donne nell’intera economia, è rimasto quasi immutato negli ultimi anni ed è ancora del 16% circa (attestandosi al 16,4%, come l’ anno precedente).
Il divario retributivo di genere è la differenza tra il salario orario medio lordo degli uomini e quello delle donne nell’intera economia dell’Unione, espresso come percentuale del salario maschile.
Gli ultimi dati indicano appunto, per il 2012, un differenziale retributivo medio del 16,4% nell’Unione europea e confermano una stagnazione dopo la lieve tendenza al ribasso degli ultimi anni rispetto al 17% e oltre degli anni precedenti.
In Danimarca, nella Repubblica Ceca, in Austria, nei Paesi Bassi e a Cipro si registra una costante riduzione del divario, mentre altri paesi (Polonia, Lituania) hanno invertito la tendenza al ribasso nel 2012. In alcuni paesi, come l’Ungheria, il Portogallo, l’Estonia, la Bulgaria, l’Irlanda e la Spagna, negli ultimi anni il differenziale retributivo di genere è aumentato.
La tendenza al ribasso è riconducibile a una serie di fattori, come l’aumento della percentuale di lavoratrici con un più elevato livello di istruzione e l’impatto della recessione economica, che è stato più forte in alcuni settori a prevalente manodopera maschile (edilizia, ingegneria). Pertanto, questo lieve livellamento non è imputabile esclusivamente ad aumenti della retribuzione femminile o a un miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne.
In una relazione del dicembre 2013 sull’attuazione delle norme UE sulla parità di trattamento di uomini e donne in materia di impiego (direttiva 2006/54/CE), la Commissione ha constatato che la parità retributiva è ostacolata da una serie di fattori: sistemi retributivi poco trasparenti, assenza di chiarezza giuridica nella definizione di “lavoro di pari valore” e ostacoli procedurali. Riguardo a tali ostacoli, ad esempio, le vittime di discriminazioni retributive non sono sufficientemente informate su come presentare un ricorso efficace e non sono disponibili dati sui livelli salariali per categoria di dipendenti. Una maggiore trasparenza dei sistemi salariali permetterebbe raffronti immediati tra le retribuzioni dei due sessi, favorendo così le rivendicazioni da parte delle vittime.
La Commissione sta attualmente valutando i possibili interventi a livello europeo per accrescere la trasparenza salariale e ridurre così il differenziale retributivo di genere, contribuendo a promuovere e facilitare l’effettiva applicazione del principio della parità retributiva.
Vale la pena di ricordare che la parità retributiva è sancita dai trattati sin dal 1957 e trova attuazione nella direttiva 2006/54/CE
Oltre a monitorare la corretta applicazione della normativa, l’Europa è intervenuta costantemente su tutti i fronti per colmare il divario retributivo. Tra gli interventi voglio ricordare l’iniziativa Equality Pays Off (L’uguaglianza paga) portata avanti nel 2012 e nel 2013, che ha sostenuto i datori di lavoro impegnati a ridurre il divario retributivo di genere con l’organizzazione di seminari e formazioni, le raccomandazioni specifiche per paese formulate ogni anno nel quadro del semestre europeo, che richiamano l’attenzione degli Stati membri sulla necessità di affrontare il problema del divario retributivo, le giornate europee per la parità retributiva, lo scambio di buone prassi, il finanziamento di iniziative degli Stati membri attraverso i Fondi strutturali e le azioni della società civile.
Vi segnalo anche alcuni esempi di buone pratiche che promuovono la parità retributiva a livello nazionale, presenti in altri Paesi dell’UE:
nel 2012 il Parlamento belga ha adottato una legge che obbliga le imprese a condurre, ogni due anni, analisi comparative della struttura salariale. Il Belgio è anche il primo paese dell’UE ad avere organizzato (nel 2005) una giornata per la parità retributiva;
il Governo francese ha rafforzato le sanzioni per le aziende con più di 50 dipendenti che non rispettano gli obblighi in materia di parità di genere. Per la prima volta, a seguito di un decreto del 2012, nell’aprile 2013 due imprese sono risultate non conformi alla normativa sulla parità retributiva;
la legge austriaca sulle pari opportunità impone alle imprese di presentare relazioni sulla parità retributiva. Le disposizioni, introdotte gradualmente, si applicano attualmente alle imprese con più di 250, 500 e 1 000 dipendenti, mentre quelle con più di 150 dipendenti dovranno adeguarsi a partire dal 2014;
con la risoluzione dell’8 marzo 2013, il Portogallo ha introdotto misure volte a garantire e promuovere la parità tra uomini e donne sul mercato del lavoro, in termini sia di opportunità che di risultati, anche attraverso l’eliminazione dei divari salariali; tali misure includono l’obbligo per le imprese di rendere conto in merito al differenziale retributivo di genere.
Resto a disposizione per ulteriori approfondimenti e vi saluto caramente,
Patrizia Toia
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28 febbraio 2014