Ieri pomeriggio Martin Winterkorn ha annunciato le sue dimissioni da CEO di Volkswagen in seguito allo scandalo sulle auto “truccate” per risultare in regola con i limiti imposti per le emissioni di gas nocivi. Da amministratore delegato, Winterkorn si è assunto le responsabilità per quanto accaduto, dicendo di non esserne stato a conoscenza prima, e ha di conseguenza rassegnato le dimissioni, ricordando che “il lavoro per chiarire la situazione deve continuare: è l’unico modo per riottenere la fiducia”.
Dalla fine della scorsa settimana la società Volkswagen è al centro di uno scandalo legato alle sue automobili diesel, che sta portando a serie conseguenze. La casa automobilistica tedesca è accusata negli Stati Uniti di avere venduto auto con sistemi che falsano i risultati dei test di laboratorio sulle emissioni di alcune sostanze inquinanti, in modo da farle apparire entro i limiti di legge anche se poi su strada non lo sono. Il problema interessa mezzo milione di macchine nel mercato statunitense ma potrebbe riguardare fino a 11 milioni di automobili vendute dal 2009 in tutto il mondo. La notizia ha fatto sprofondare il titolo Volkswagen in borsa, ha messo in dubbio la credibilità del suo ex amministratore delegato e dell’intera azienda, potrebbe costarle miliardi di euro di multe e danni (senza contare le possibili ripercussioni sulle vendite di auto) e ha riaperto il dibattito sull’affidabilità dei test per valutare le emissioni nocive prodotte dai motori delle automobili.
Le prime indagini
A partire dal 2009 Volkswagen ha inserito del codice nelle centraline dei suoi veicoli per rilevare i movimenti di pedali e sterzo solitamente effettuati da chi realizza i test per le emissioni. Quando il software rileva questa sequenza, il sistema riduce le prestazioni del motore e altri parametri quel tanto che basta per fare risultare le emissioni in linea con i massimi consentiti dalla legge, falsando quindi i risultati rispetto ai livelli effettivi di inquinamento prodotti su strada. Grazie a questo sistema i controlli sono stati elusi per anni, fino a quando un gruppo indipendente che si chiama International Council on Clean Transportation ha svolto una serie di ricerche per capire come mai i risultati dei test di laboratorio su alcuni veicoli diesel Volkswagen fossero così discrepanti rispetto ad altre prove effettuate su strada. Lo studio ha coinvolto i ricercatori della West Virginia University, che hanno scoperto che una Volkswagen Jetta – uno dei modelli più popolari negli Stati Uniti – emetteva quantità di ossidi di azoto 35 volte superiori ai limiti di legge, molto di più di quanto rilevato in laboratorio.
In seguito a quei risultati, nel maggio del 2014 l’agenzia federale statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) chiese a Volkswagen di indagare e risolvere il problema. La casa automobilistica recepì la segnalazione e disse di aver rimediato, ma nei mesi successivi altri test portarono a nuove discrepanze, facendo nuovamente insospettire i responsabili dell’EPA.
Le accuse contro Volkswagen
Lo scorso luglio l’agenzia aveva nuovamente chiesto a Volkswagen di spiegare i risultati di alcuni test indipendenti sulle emissioni effettuati su sue automobili vendute tra il 2009 e il 2015, diversi da quelli ottenuti in precedenti prove. I test riguardavano modelli molto popolari come Passat, Golf e Audi A3: nelle settimane successive Volkswagen aveva attribuito le differenze nei risultati ad alcuni problemi tecnici, ma in un secondo momento aveva ammesso che alcuni sistemi di bordo falsavano i test sulle emissioni nocive.
Venerdì 18 settembre l’EPA ha formalizzato le sue accuse nei confronti di Volkswagen, accusando la casa automobilistica di avere montato su Jetta, Beetle, Audi A3, Golf e Passat un sistema in grado di attivarsi autonomamente quando vengono effettuati i controlli sulle emissioni sul veicolo. Secondo l’EPA, in alcuni casi questa soluzione avrebbe permesso di mascherare durante i test la produzione di inquinanti tra le 10 e le 40 volte superiori rispetto ai limiti consentiti.
Danno economico e d’immagine
Nel fine settimana la notizia è stata ripresa dai media di tutto il mondo. Lunedì 21 settembre Volkswagen ha diffuso un comunicato con il quale si è scusata pubblicamente per avere tradito la fiducia dei suoi clienti, ma senza dare molti altri dettagli sulla vicenda e assicurando di avere avviato una stretta collaborazione con l’EPA e di avere chiesto un’indagine interna indipendente. Un comunicato dell’EPA però diceva che Volkswagen aveva ammesso di aver truccato le centraline dei motori allo scopo di superare i controlli sulle emissioni.
Nello stesso giorno è emerso che il problema non riguarda solamente il mezzo milione circa di veicoli diesel venduti negli Stati Uniti negli ultimi anni, ma quasi 11 milioni di automobili vendute in giro per il mondo, soprattutto in Europa. In seguito alla notizia, il titolo in borsa di Volkswagen ha perso in un giorno circa un quinto del suo valore, riducendo la capitalizzazione dell’azienda di oltre 23 miliardi di euro.
Martedì 22 settembre l’ormai ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, aveva diffuso un videomessaggio per scusarsi con i clienti e per promettere indagini rigorose per comprendere che cosa sia accaduto. Winterkorn aveva promesso trasparenza e tempi rapidi, ma ci sono dubbi da parte di diversi osservatori sulle cose che ha detto e in generale la linea dei dirigenti dell’azienda. In molti si chiedono se effettivamente Winterkorn e gli altri fossero all’oscuro di tutto oppure se fosse a conoscenza almeno in parte del problema, visto che i primi modelli realizzati con la modifica al software risalgono a sei anni fa. Nello stesso giorno il titolo in borsa di Volkswagen ha continuato a perdere intorno al 15 per cento.
Inquinamento
Secondo i calcoli e le analisi condotte dal Guardian, le auto Volkswagen “truccate” vendute negli Stati Uniti avrebbero emesso tra le 10mila e le 41mila tonnellate di ossidi di azoto nell’aria ogni anno (il dato è calcolato sui chilometri percorsi in media da un’auto negli Stati Uniti). Se avessero rispettato i limiti imposti dall’EPA, avrebbero emesso circa mille tonnellate ogni anno. Non tutti gli ossidi di azoto sono pericolosi, ma nel complesso alte emissioni portano a un rischio più altro tra la popolazione di contrarre malattie all’apparato respiratorio e a quello circolatorio.
Cosa rischia Volkswagen
In seguito ai provvedimenti dell’EPA, Volkswagen ha annunciato che richiamerà circa 500mila automobili negli Stati Uniti e ha accantonato intanto 6,5 miliardi di euro per fare fronte al problema. È probabile che sui veicoli sarà effettuata una modifica alle centraline per mantenere più basse le emissioni, ma questo potrebbe influire sulle prestazioni dei motori e quindi i clienti si ritroverebbero di fatto con auto diverse da quelle che avevano acquistato. L’EPA potrebbe inoltre decidere di multare Volkswagen e ha la possibilità di emettere una multa fino a 37.500 dollari per veicolo, cosa che comporterebbe un danno economico per Volkswagen stimato intorno ai 18 miliardi di dollari (l’utile netto dell’azienda lo scorso anno è stato di 12 miliardi di dollari). A questo si potrebbero aggiungere azioni legali di vario tipo, come class action da parte dei clienti per il danno subito. Non è ancora ufficiale, ma si parla anche della possibilità di un’indagine penale da parte del dipartimento di Giustizia statunitense. E tutto questo al netto delle possibili ripercussioni sulle vendite di nuove auto.
Mercoledì 23 settembre Bloomberg ha riferito che Volkswagen ha assunto lo studio legale Kirkland & Ellis LLP per avere consulenza e aiuto nella gestione dello scandalo legato ai test per le emissioni. Lo studio è lo stesso che si occupò della difesa della compagnia petrolifera BP nel 2010, in seguito all’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon che portò a un disastro ambientale nel Golfo del Messico al largo delle coste della Louisiana.
Controllo delle emissioni
Fuori dagli Stati Uniti, governi di paesi come Italia, Francia e Corea del Sud hanno avviato indagini per capire l’entità del problema e che impatto abbia avuto nei rispettivi mercati. Secondo il giornale tedesco Die Welt, il governo della Germania era al corrente della situazione già da tempo: a luglio il ministro dei Trasporti rispose a un’interrogazione parlamentare dei Verdi sulla scarsa affidabilità dei test sulle emissioni nel settore dell’auto, e ammise la necessità di rivedere alcune procedure in ambito europeo. A partire dal 2017 è prevista l’introduzione in Europa di un’ulteriore serie di test su strada da affiancare a quelli di laboratorio, che dovrebbero rendere più difficile l’uso di stratagemmi per falsare i risultati.
Negli Stati Uniti, dove le automobili diesel sono meno diffuse rispetto all’Europa, ci sono regole più severe sui livelli di emissioni, ma la responsabilità nella conduzione dei test ricade quasi tutta sulle case automobilistiche. L’Unione europea ha regole meno stringenti, dovute in parte alla maggiore diffusione dei sistemi diesel, ma prevede comunque che i test siano eseguiti alla presenza di tecnici indipendenti certificati dalle agenzie ambientali dei singoli stati membri. Per ora non ci sono notizie certe circa il coinvolgimento di altre case automobilistiche in pratiche simili a quelle utilizzate da Volkswagen, ma da tempo i test per la valutazione delle emissioni inquinanti sono criticati da associazioni ambientaliste e talvolta dagli stessi produttori di auto per essere poco efficaci e affidabili.
24 settembre 2015