La Commissione Europea ha approvato un piano che ridefinisce i principi in base ai quali i 28 stati membri dell’Unione Europea dovranno accogliere gli immigrati richiedenti asilo. Le persone saranno trasferite in base a quattro criteri: la popolazione (che inciderà al 40 per cento), il PIL (un altro 40 per cento), la disoccupazione e il numero di richiedenti già accolti (entrambi al 10 per cento). Più sono i suoi abitanti e maggiore è il suo PIL, più saranno quindi i migranti che uno stato dovrà accogliere. La decisione riguardava la ridistribuzione tra gli stati dell’Unione Europea di circa 40 mila immigrati richiedenti asilo, per il momento: 24 mila di loro sono al momento in Italia, 16 mila sono invece in Grecia. Il percorso per l’approvazione del piano è però piuttosto complicato, per vari motivi. Diversi paesi si sono dichiarati contrari (Regno Unito, Francia, Ungheria e Spagna, per esempio) e la proposta deve essere adottata dal Consiglio europeo con voto a maggioranza qualificata. Martedì 16 giugno si terrà il consiglio degli Affari interni, cioè la riunione dei ministri dell’Interno dei 28 paesi membri. Il 25 giugno ci sarà poi il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Durante quegli incontri dovrebbe essere fatto qualche progresso verso l’approvazione del piano. Vedremo se lo si farà. Nell’attesa leggiamoci l’analisi apparsa su il Mulino del sociologo Antonio Mutti il quale analizza appunto il documento approvato il 13 maggio dalla Commissione europea.
di Antonio Mutti
L’irrompere delle migrazioni africane e mediorientali ha posto una serie di delicate questioni alla Comunità europea di cui è evidente testimonianza il recente documento approvato il 13 maggio dalla Commissione europea (A European Agenda on Migration).
Questo documento ha il merito di non perdere di vista la fondamentale distinzione tra azioni di emergenza e azioni di lungo periodo nel trattare un problema così delicato, come quello delle migrazioni internazionali,che investe, in vario grado, tutti i cittadini europei. L’azione di emergenza, secondo tale documento, è quella tesa a salvare le vite in mare, a colpire i network criminali, a garantire protezione alle persone bisognose di aiuto e a riallocare, in modo equo, i migranti nei vari Paesi europei. L’azione di lungo periodo è invece quella volta alla riduzione degli incentivi all’immigrazione irregolare, all’elaborazione di una forte politica comune di asilo che superi i limiti degli accordi di Dublino, e a un miglior governo delle migrazioni regolari che individui i gap di competenze professionali europee considerando la mobilità del capitale umano come una importante risorsa da valorizzare.
L’appello a non farsi travolgere dall’emergenza e a ragionare sul lungo periodo in una prospettiva che considera la mobilità del capitale umano come una opportunità da valorizzare sono i suggerimenti più interessanti di questo documento. Non vengono, però, messe in evidenza e discusse adeguatamente tutte le difficoltà cui va attualmente incontro una pur così condivisibile prospettiva. È probabile che ciò sia stato l’inevitabile risultato dei faticosi compromessi maturati in seno alla Commissione, ma non si può neppure escludere la presenza di limiti teorici e operativi nel gruppo di lavoro che ha stilato il documento.
Rispetto alle azioni di lungo periodo, il documento, nel descrivere le politiche di accoglienza, riconosce le carenze di cooperazione e di fiducia reciproca (a vari livelli, incluso quello della sicurezza) esistenti tra i vari Paesi europei. Ma non delinea nessuna strategia specifica che possa portare a un incremento di cooperazione e di fiducia tra questi Paesi. La questione è complessa, si sa, ma qualche indicazione di tipo economico, politico e culturale andava pur fornita. Anche rispetto alle fondamentali politiche di cooperazione con i Paesi di partenza e i Paesi terzi di transito dei migranti, le proposte della Commissione appaiono molto deboli, sia sul piano politico, sia sul piano economico (aiuti allo sviluppo). Le ben note difficoltà a trattare con Stati deboli o, peggio ancora falliti, richiedono l’individuazione di soluzioni politicamente efficaci, ben calibrate caso per caso. Queste soluzioni non vengono delineate e, inevitabilmente, vaghe e indeterminate appaiono anche le indicazioni su come contrastare efficacemente traffico illegale e sfruttamento di migranti.
Infine, viene completamente trascurato il conflitto che può sorgere tra la recente legislazione di emergenza antiterrorismo approvata in vari Paesi europei, inclusa l’Italia, e le convenzioni sui processi migratori stipulate precedentemente (accordi di Schengen e di Dublino). Tale legislazione emergenziale pone, infatti, molte domande cruciali cui vanno fornite delle risposte. Quali sono i limiti contenutistici e spazio-temporali cui deve sottostare la normativa di emergenza? Quale equilibrio va garantito tra sicurezza e libertà? Nello specifico caso delle migrazioni, quanto questa legislazione può ledere l’idea di libertà, tolleranza e rispetto dell’altro implicita, in varia misura, nelle convenzioni sopracitate? Sarebbe opportuno, dunque, non solo tentare di rispondere a queste domande, ma occorrerebbe anche monitorare l’applicazione della normativa d’eccezione attraverso analisi e sondaggi rivolti ai migranti, alle forze di polizia e alle organizzazioni umanitarie più coinvolte in queste operazioni di sicurezza.
Fonte: il Mulino
Titolo originale: Le migrazioni oltre l’emergenza
11 giugno 2015