Sono d’accordo con i due obiettivi, focalizzati da Franco Mirabelli, per affrontare le nuove sfide:
Il primo deve essere quello di intervenire nella città che è stata ai margini di Expo e di questo rinascimento milanese, quella dei pezzi di periferie degradate, quella che soffre, quella che si sente abbandonata dalle istituzioni e diventa facile preda della demagogia di chi scarica sugli immigrati le colpe di tutto.
Il secondo deve essere quello di trasformare la città metropolitana – che rischia di essere un’istituzione, vissuta come burocratica e distante – in una grande opportunità di sviluppo per migliorare la qualità dei servizi, per creare lavoro, per fare stare meglio i suoi cittadini. Non fare questo significherebbe perdere un’occasione straordinaria data dalla nascita della città metropolitana.
di Franco Mirabelli
Expo è finita. Evviva Expo! È stato uno straordinario successo per Milano e per l’Italia.
Nonostante i tanti problemi, lo scetticismo che ha circondato la manifestazione fino al momento dell’inaugurazione e nonostante i ritardi accumulati negli anni precedenti avessero fatto sembrare impossibile la sua riuscita, i dati parlano da soli: più di 21 milioni di visitatori, di cui almeno 7 milioni provenienti dall’estero; le migliaia di eventi che hanno animato la città e che si sono aggiunti ai tanti incontri svoltisi quotidianamente nel sito espositivo e a Cascina Triulza che, insieme alla KIP – per la prima volta in un Expo – hanno ospitato le organizzazioni non governative della cooperazione internazionale e del volontariato.
Insomma, un successo di cui essere orgogliosi come italiani e come milanesi, che ha procurato a Milano ammirazione e prestigio e un ruolo su temi decisivi per il futuro come quello dell’alimentazione, della lotta agli sprechi alimentari e dello sviluppo sostenibile.
La Carta di Milano, firmata da tutti i Paesi, che fissa impegni precisi per la lotta alla fame nel Pianeta, per la salvaguardia della biodiversità e la tutela delle risorse agricole, insieme al documento firmato da centinaia di sindaci delle grandi città del mondo, che si impegnano a combattere la malnutrizione e a promuovere comportamenti positivi, sono grandi avvenimenti per cui questa Expo e Milano saranno ricordati a lungo. Ma, soprattutto, le questioni poste dalla Carta di Milano e dal documento dei sindaci diventano per la nostra città un’opportunità su cui investire per diventare punto di riferimento nel mondo dello studio, dell’iniziativa e della ricerca sul tema della nutrizione.
Expo, quindi, è stata una straordinaria occasione colta per rilanciare la nostra città, le sue eccellenze, le sue vocazioni, la sua economia. Ora si tratta di pensare a come investire su questo patrimonio.
Si tratta di pensare al dopo Expo, che non significa solo riprogettare l’area per farne un’altra occasione di crescita per Milano, magari costruendovi un grande polo universitario e della ricerca capace di diventare punto di riferimento anche sui temi che sono stati di Expo, ma significa molto di più.
Il nodo della questione, ora, è come mettere al servizio di un progetto il patrimonio di credibilità, infrastrutture, crescita culturale, bellezza urbana, capacità organizzative che si è realizzato in questi anni insieme ad Expo e anche grazie ad Expo per arrivare a due grandi obbiettivi.
Il primo obiettivo deve essere quello di intervenire nella città che è stata ai margini di Expo e di questo rinascimento milanese, quella dei pezzi di periferie degradate, quella che soffre, quella che si sente abbandonata dalle istituzioni e diventa facile preda della demagogia di chi scarica sugli immigrati le colpe di tutto.
Questa è la città in cui in poco tempo si è realizzata Area C e si è investito sul trasporto pubblico migliorando la mobilità e la qualità della vita di tutti, si sono realizzati grandi progetti, anche in periferia, come Porta Nuova, la Darsena e la Fondazione Prada, che ne hanno cambiato il volto a Milano.
Inoltre, si è ampliata significativamente l’offerta culturale, artistica e museale della città. Ora la stessa forza, la stessa determinazione e la stessa capacità di pensare in grande devono essere investite in un progetto in cui, dove c’è degrado, produca risanamento e opportunità per chi non ne ha, promuovendo condivisione e partecipazione. Si tratta, dunque, di fare uno sforzo che coinvolga tutta la città come è stato per Expo o per la Darsena.
Il secondo obbiettivo deve essere quello di trasformare la città metropolitana – che rischia di essere un’istituzione, vissuta come burocratica e distante – in una grande opportunità di sviluppo per migliorare la qualità dei servizi, per creare lavoro, per fare stare meglio i suoi cittadini. Non fare questo significherebbe perdere un’occasione straordinaria data dalla nascita della città metropolitana.
La stessa Expo e il sistema di trasporto pubblico, che proprio l’evento ha messo alla prova con risultati molto positivi, sono la dimostrazione che ragionare in una dimensione metropolitana consente di raccogliere e vincere sfide impensabili negli attuali confini dei Comuni milanesi. Lo stesso sistema del verde e dei parchi e concepito in una dimensione metropolitana e in quella dimensione può essere ulteriormente incrementato e valorizzato.
Ecco, le sfide per Milano sono tutt’altro che finite!
Il lavoro di questi anni di questa giunta racconta di competenze, di un’attenzione ai bisogni e di una capacità di valorizzare la partecipazione dei cittadini che consegna un patrimonio che non andrà perso ma che dovrà segnare la vera continuità da costruire.
Da qui si deve ripartire per affrontare le nuove sfide.
Fonte: L’Unità
15 ottobre 2015