L’idea di Celentano e Boeri. «Un baluardo contro il consumismo». In attesa di individuare la città che ospiterà il «Paese che aggiusta tutto», Boeri, Celentano e Claudia Mori hanno proposto al Comune di sperimentare il «modello» in un’ala di Palazzo Dugnani per tutta la durata di Expo
di Maurizio Giannattasio
È «il Paese dove si aggiusta tutto», l’estrema difesa contro la cultura dell’usa e getta, il baluardo contro il consumismo avanzato. È l’ultimo parto di un binomio insolito: Adriano Celentano e Stefano Boeri. Il cantante e l’architetto hanno ideato un borgo, un’area, un pezzetto di città dove non si butta via niente e gli artigiani aggiustano e riparano tutto: oggetti, utensili, macchine, strumenti e «perfino le idee».
Il Manifesto è quasi pronto. Ma il progetto è ben oltre la fase iniziale. C’è l’interesse e il possibile finanziamento da parte della Fondazione Cariplo, del Politecnico, dello stesso Clan Celentano. In attesa di individuare la città che ospiterà il «Paese che aggiusta tutto», Boeri, Celentano e Claudia Mori hanno proposto al Comune di sperimentare il «modello» in un’ala di Palazzo Dugnani per tutta la durata di Expo. Sei mesi dove riunire il meglio delle scuole di artigianato italiane che ripareranno e insegneranno a riparare gratuitamente gli oggetti. Per ora, la risposta di Palazzo Marino è stata interlocutoria: «Valuteremo». Ma risulterebbe quanto meno strano che la giunta arancione di Giuliano Pisapia «rigetti» al mittente una proposta del genere visto che ha fatto del riciclo, del riuso e dei mercatini a chilometro zero una bandiera ideologica e politica. A meno che non covino sotto le braci antichi rancori. Il progetto però è ancora più ambizioso.
Prende le mosse dai Repair Cafè di Amsterdam e dai Fixers Collective di Brooklyn, collettivi che si incontrano mensilmente e che hanno un motto ben preciso: «Qualsiasi oggetto elettrico ed elettronico può avere una seconda vita ed essere riparato». Movimenti che hanno trovato adepti in tutto il mondo e soprattutto in Europa dove la crisi economica si è fatta sempre più forte. Si pensi solo all’Italia: il recupero di ciò che si ritiene erroneamente inutile farebbe risparmiare 11 miliardi all’anno, più di qualsiasi spending review di governi presenti, passati e futuri ed eliminerebbe una parte dell’enorme mole di rifiuti prodotti ogni anno. Solo i rifiuti elettronici (i più riparabili) ammontano a 800 mila tonnellate. A Milano e provincia sono oltre 11.500 . A cui bisogna sommare tutti gli altri tipi di oggetti buttati via perché non più funzionanti.
Partendo da questi presupposti Celentano e Boeri hanno ampliato l’orizzonte: quello di creare un luogo fisico in una città italiana – l’idea sarebbe proprio Milano, a ridosso del centro abitato, riutilizzando aree industriali o capannoni commerciali dismessi – basato sul principio della valorizzazione del lavoro artigianale funzionale a recuperare tutto. Chi ha intravisto la bozza del Manifesto avverte vecchi cavalli di battaglia del ragazzo della via Gluck mixati con la progettualità dell’architetto del Bosco verticale: la «resistenza» contro la cultura estrema del consumismo, il contrasto alla «persuasione» che è meglio gettare e comprare piuttosto che aggiustare.
L’utopia disegnata da Boeri e Celentano è quella di arrivare a realizzare un paese dove non si spreca nulla: dagli scarti dell’agricoltura utilizzati per produrre energia, al riuso dei materiali dell’edilizia per riqualificare le case. I resti del cibo per coltivare i campi, l’acqua di falda una volta che avrà svolto il suo compito di condizionare gli appartamenti e bagnare la terra tornerà nel sottosuolo. Il Manifesto si allarga a cerchi concentrici ed ha ambizioni sfrenate. Dalla bicicletta riparata, dal rasoio aggiustato, dal computer rimesso in funzione si arriva al «Paese» che vive di vita propria dove si coltivano i campi e «orti urbani» per procurarsi il cibo. Non solo per sé, ma anche per i visitatori che potranno comprare i prodotti del Paese delle meraviglie.
Fonte: milano.corriere.it
16 giugno 2014