Prima di investire bisogna conoscere il territorio

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Città metropolitane, poli urbani regionali e aree interne strategiche: come decidere su quali zone puntare maggiormente? Un metodo di classificazione del territorio per tentare di ottimizzare gli investimenti pubblici, senza creare disservizi. Il caso della Toscana

di Paola Iommi

La recessione globale e la bassa crescita che affliggono da tempo buona parte delle aree a sviluppo avanzato hanno richiamato l’attenzione sulla natura delle politiche per la competitività, in particolare sulla loro entità, sui loro contenuti e soprattutto su soggetti e territori beneficiari.
Il dibattito più recente è dominato dalla contrapposizione tra due visioni. La prima è fortemente incentrata sul concetto di economie di agglomerazione, che suggerisce di concentrare gli investimenti pubblici e privati in pochi grandi poli urbani, in grado di agire come motore di sviluppo di aree più vaste. (1)
L’altra è più attenta al contributo che i diversi tipi di territorio (grandi aree urbane, regioni di città medie, distretti industriali, aree rurali, eccetera.) possono dare alla crescita complessiva, mirando pertanto a promuovere un modello di sviluppo più equilibrato anche dal punto di vista spaziale (2). Nell’Unione Europea prevale il secondo approccio, in linea con i tradizionali obiettivi delle politiche per la coesione, che a partire dal 1999 hanno riconosciuto la necessità di prestare attenzione agli effetti di riequilibrio territoriale delle politiche pubbliche. (3)
Anche in un’ottica meno selettiva, tipica dell’approccio place-based descritto, resta tuttavia centrale l’individuazione e la delimitazione delle diverse ripartizioni territoriali. Non è un caso, quindi, che da qui siano nate due delle tre strategie territoriali proposte dal Governo italiano per la programmazione dei fondi strutturali europei 2014-2020: quella delle città e quella delle aree interne.
La politica di coesione comunitaria non costituisce evidentemente l’unico pacchetto di policyche interviene sui territori, però può introdurre e consolidare un’articolazione dello spazioin grado di fare da riferimento anche per altri interventi pubblici.

LA SELEZIONE DELLE CITTÀ

Nell’accordo di partenariato sui fondi strutturali inviato alla Commissione europea il 22 aprile scorso, l’Agenda urbana prende in considerazione due diverse tipologie di città:
a) le dieci città metropolitane individuate con legge nazionale (Bari, Bologna, Genova, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia; cui si aggiungerà Reggio Calabria) e le quattro città metropolitane individuate dalle Regioni a statuto speciale (Cagliari; Catania, Messina, Palermo);
b) le città medie e i poli urbani regionali, definiti come le aree densamente popolate che costituiscono poli di erogazione di servizi – essenziali e di rango elevato – per aree vaste significative. Come prima approssimazione si fa riferimento ai comuni capoluogo di Regione e provincia, ma si invita a replicare la metodologia delle aree interne, con riferimento a tipologie di servizio di rango superiore.(4)

Avere una selezione ordinata delle aree urbane, sul modello di quella già presentata in unprecedente contributo condivisa su scala nazionale, permetterebbe una scelta più accurata dei luoghi su cui investire. (5) In particolare, consentirebbe di allontanarsi un po’ dal criterio puramente amministrativo che solo in alcuni casi appare coerente con i fenomeni socioeconomici di maggiore interesse. Nella tabella sotto si mostra, per la Toscana, l’intersezione tra la classificazione dei poli urbani derivante dall’applicazione del metodo delle aree interne e quella delle aree urbane ottenuta con l’indicatore di rango.
Nel primo caso, i poli sono definiti dalla presenza di alcuni servizi indispensabili per le attività quotidiane, ma comunque a media specializzazione (scuole secondarie superiori, ospedali dotati di pronto soccorso e stazioni ferroviarie di rango silver): in Toscana se ne contano in totale ventuno. Di questi, undici svolgono il ruolo di capoluogo, mentre solo sei hanno caratteristiche tali da poter essere considerati aree urbane rilevanti ai fini dello sviluppo (presenza di funzioni specializzate, risultato economico).
I due indicatori risultano dunque tra loro coerenti e la selezione delle aree urbane “strategiche”, oltre alle sole città metropolitane riconosciute dalla legge (per la Toscana, Firenze), appare motivata e affidabile.

Tabella1 – Confronto tra la selezione dei poli per le aree interne e le aree di rango urbano in Toscana.
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Fonte: elaborazioni Irpet *L’indicatore è calcolato per Firenze e Prato congiuntamente

LA SELEZIONE DELLE AREE INTERNE

Per aree interne si intendono i territori periferici rispetto all’offerta di un pacchetto minimo di servizi di cittadinanza, approssimato con i servizi connessi all’istruzione (superiore), alla sanità (ospedaliera) e ai trasporti (ferroviari). (6) In base alla distanza in termini di minuti di percorrenza per raggiungere il polo di servizi più prossimo, le aree interne vengono classificate in intermedie (tra 20 e 40 minuti), periferiche (tra 40 e 75 minuti) e ultraperiferiche (oltre i 75 minuti). (7)
La strategia delle aree interne si propone di conciliare i due obiettivi della crescita e della coesione e prevede pertanto due diverse categorie di azioni: i progetti di sviluppo locale e l’adeguamento dell’offerta dei servizi essenziali. Un’applicazione alla Toscana ha consentito, oltre all’affinamento del metodo d’individuazione delle aree interne, la loro classificazione per grado di fragilità e per la presenza di potenzialità di sviluppo. (8) Ragionando sui dati esistenti (tendenza demografica di lungo periodo, caratteristiche strutturali della popolazione, tasso di utilizzo e valore di mercato del patrimonio immobiliare, presenza di attività produttive, attrattività turistica, offerta di almeno due dei tre servizi pubblici considerati essenziali, e altro), il gruppo delle aree interne viene così ulteriormente disaggregato, mettendo in evidenza le specificità locali che aiutano a calibrare meglio gli interventi. Non tutte le aree interne, infatti, soffrono dello spopolamento e alcune sono addirittura dotate di servizi pubblici che potrebbero renderle a loro volta dei sub-poli di riferimento per i territori più decentrati.

Tabella 2 – Le aree interne toscane per caratteristiche
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Fonte: elaborazioni Irpet

Il metodo qui brevemente illustrato è ovviamente suscettibile di approfondimenti e miglioramenti, ma ha il pregio di consentire una classificazione del territorio, scientificamente fondata, basata su concetti e indicatori ben consolidati in letteratura. La mappatura, una volta che fosse anche politicamente condivisa, consentirebbe strategie d’investimento pubblico territory-specific, da cui è ragionevole attendersi una maggior efficacia.

(1) World Bank (2009), World development Report 2009: Reshaping Economic Geography, Washington Dc: World Bank.
(2) Oecd (2012a), “Promoting Growth in All Regions: Lessons from Across the Oecd”, Oecd Policy Brief, March; Barca F., Maccann P., Rodriguez-Pose A. (2012), “The case for regional development intervention: place-based versus place natural approaches”, Journal of Regional Sciences, 52,1: 134-152.
(3)Schema di sviluppo dello spazio europeo 1999, Agenda territoriale europea 2007 e 2011.
(4) La Commissione potrà formulare osservazioni entro tre mesi dalla data di presentazione del programma operativo e procederà alla sua adozione non oltre sei mesi dalla data di presentazione, a condizione che lo Stato membro abbia tenuto debitamente conto delle osservazioni della Commissione. Di norma quindi i programmi operativi dovrebbero essere adottati al massimo entro la fine di gennaio 2015.
(5) Iommi S., Marinari D. (2013), Un approccio multicriterio per l’individuazione della gerarchia urbana in Italia e l’elaborazione di territory-specific policies, XXXIV Conferenza italiana di scienze regionali, Palermo 2-3 settembre; e IV EuGeo Congress, Roma 5-7 settembre
(6) Gli indicatori vengono calcolati per comune, ma nella progettazione dell’intervento si richiede una governance sovracomunale, al fine di garantire le condizioni minime di efficacia
(7) Dps (2013), “Le aree interne: di quale territori parliamo? Nota esplicativa sul metodo di classificazione delle aree”,
(8) Bertini S., Burgalassid D., Iommi S., Marinari D., Turchetti S. (2013) “Le aree interne in Toscana: individuazione e caratterizzazione”, Irpet, Firenze.

Fonte: laVoce

 

 

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