Lavorare di più e guadagnare di più, due buoni motivi per cui le ragazze dovrebbero studiare materie tecnico scientifiche sfidando chi dice loro che non sono brave abbastanza. Le previsioni sul mercato del lavoro danno indicazioni chiare sulle professioni del futuro
Quest’anno il 16 febbraio si è tenuta la prima giornata mondiale delle donne nella scienza indetta dall’Onu. Le iniziative, pubbliche e private, rivolte alle ragazze per orientarle agli studi tecnico-scientifici si moltiplicano. Perché è così importante che le ragazze, e le donne, partecipino alle professioni di questo settore?
Il numero delle italiane al lavoro è in crescita costante, ha subìto una battuta d’arresto con la crisi, ma le previsioni per i prossimi anni ci dicono che l’occupazione femminile crescerà più di quella maschile.
Questo risultato riflette la volontà netta delle ragazze di entrare nel mercato del lavoro: si impegnano moltissimo, e secondo Almalaurea si laurea il 30% delle ragazze contro il 18% dei ragazzi. Eppure questo impegno non sempre si trasforma in un vantaggio sul mercato del lavoro. Perché? In primo luogo perché gli stereotipi condizionano la scelta del percorso accademico e le donne si concentrano in settori in cui c’è più offerta che domanda (materie umanistiche, giurisprudenza, architettura), mentre le facoltà tecnico-scientifiche vedono una netta prevalenza maschile. Dall’altra parte, anche i datori di lavoro sono condizionati da stereotipi e questo aumenta il divario tra offerta e domanda di lavoro femminile.
Secondo Cedefop (il Centro Europeo per lo sviluppo della formazione professionale), nonostante la crisi, l’occupazione del settore tecnologico e scientifico in Europa è cresciuta del 12% tra il 2000 e il 2013 e ci si aspetta che continui a farlo aumentando di un altro 8% entro il 2025 (la crescita complessiva di tutte le professioni è stimata al 3%). Se guardiamo ai settori associati alle professioni Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) la crescita stimata è del 6,5% entro il 2025, ma i numeri variano moltissimo a seconda dei settori: nel farmaceutico la crescita stimata è zero, mentre nell’informatica ci si aspetta una crescita dell’8% e del 15% nei servizi professionali. Saranno Stem circa due terzi delle possibilità di impiego che rimpiazzeranno i posti di lavoro delle persone che vanno in pensione.
In Europa le professioni Stem sono molto sbilanciate da un punto di vista di genere: sono uomini il 76% dei lavoratori del settore e l’85% nei settori associati. Le Stem si connotano quindi come un mercato del lavoro molto maschile. Per esempio, ai vertici delle società ICT (Information and Communications Technology) gli uomini detengono saldamente il potere occupando l’84% dei posti nei CDA e la presidenza del 97% delle società.
Le competenze digitali, comunque, non riguardano solo le professioni Stem. Secondo UN Women, l’ente delle Nazioni unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, nel prossimo futuro l’80% dei lavori chiederà competenze di questo tipo, e le competenze digitali saranno sempre più importanti in tutte le professioni.
Ma non è solo un problema di parità nel mercato del lavoro. La tecnologia media il nostro rapporto con la realtà e risponde, anticipa e induce i bisogni della società. L’esclusione dall’innovazione, dalla progettazione e dalla gestione tecnologica produce una realtà pensata da uomini, e in questo, come in altri settori, ormai sappiamo che rappresenta un limite sotto molti profili, incluso quello economico.
Gli studi ci dicono che le ragazze vengono scoraggiate dall’intraprendere studi scientifici e tecnologici tra gli 11 e i 13 anni, per questo è importante ripartire dalle ragazze per cambiare il futuro. Il Rapporto Pisa 2012 dedica un capitolo all’approfondimento tra autostima, percezione delle proprie competenze tecnico scientifiche e performance di ragazzi e ragazze. Viene fuori che la percezione di non essere abbastanza brave riguarda specialmente le ragazze più brave, e che questa mancanza di autostima si manifesta anche quando i loro risultati sono pari a quelli dei ragazzi. Tutto questo ci conferma che le “disparità di genere nel modo in cui vengono indirizzati, motivati e nella percezione che hanno di sé ragazzi e ragazze ha un effetto molto più forte delle differenze di genere nelle performance” nello scoraggiare le ragazze dall’intraprendere studi tecnico-scientifici. In Europa fa eccezione solo la Finlandia, affiancata nel mondo da Cina (Macao), Singapore e Taiwan, i paesi con lo standard sia maschile che femminile più alto e con le economie tra le più forti al mondo.
In Italia, invece, la strada è ancora lunga. Ma ci sono donne che hanno iniziato a spianarla e spesso si parla dei lavori del futuro, di lavori che possono innovare la tecnologia in ambiti specifici. Come si fa a fare o a inventarsi uno di questi lavori, esiste una ricetta per le ragazze? “Formazione di alto livello, esperienza all’estero, mobilità territoriale” ci risponde Mary Franzese, CMO e Cofondatrice di Neuron Guard, startup all’avanguardia nel settore dell’ingegneria medica, tra le relatrici del tavolo dedicato a ragazze e Stem che si terrà sabato 3 dicembre a Roma all’interno del festival Donne a lavoro. “E poi, il coraggio di cambiare e andare controcorrente, anche rispetto a una serie di mentalità asfittiche, come quella che poteva esserci dieci anni fa nella provincia di Napoli, dove sono cresciuta. L’alta formazione non basta, insomma, serve anche la forza per sfidare se stesse e le proprie paure. E ancora, ci vuole anche tenacia e resistenza sul mantenere il ritmo serrato, una volta intrapreso il percorso”.
E infatti, la scelta di un percorso di questo tipo è più un punto di partenza che di arrivo, nel caso delle startup in particolare, ci sono i conti da gestire, la commercializzazione del brevetto, il consolidamento. Tutto dipende, ovviamente, anche dal tipo di progetto. “La parte difficile per una start up medicale inizia subito” spiega Franzese “nel cercare di attrarre fondi con un’idea. Io e il mio socio da soli abbiamo investito all’inizio 250mila euro. La prima sfida insomma è crederci per ottenere i primi risultati. E poi , partecipare a premi internazionali, entrare nei network di ricerca – noi siamo entrati in quello dell’università di Cambridge e dell’Istituto di sanità inglese. E ancora accogliere le sfide in corso, nel nostro caso, portare un’innovazione anche sul piano del trattamento medico”.
Partire da storie come quella di Mary può innescare la trasformazione sociale, soprattutto a livello dei modelli di riferimento per le ragazze. Il messaggio, per Mary è “farsi avanti, mettere al primo posto le proprie idee e provare a parlarne con gli altri e quindi trasformarle in realtà. Proprio come dice il titolo del libro di Sheryl Sandberg, Facciamoci avanti”.
Barbara Leda Kenny dal 2006 lavora nell’area di pari opportunità della Fondazione G. Brodolini. I suoi filoni di intervento sono la violenza contro le donne, le donne nella scienza e la comunicazione di genere. Dal 2011 coordina inoltre le attività di comunicazione istituzionale della Fondazione. E’ socia fondatrice di Tuba, la libreria delle donne di Roma aperta nel 2007
Fonte: In Genere