Lo propone l’economista e scrittore Philippe Legrain sul New York Times: perché è giusto e perché conviene a tutti
di Redazione
Il 6 maggio il New York Times ha pubblicato un articolo del giornalista britannico Philippe Legrain sul tema dell’immigrazione, di cui si è parlato molto nelle ultime settimane per i recenti naufragi nel Mediterraneo. Legrain ha proposto una soluzione sull’immigrazione molto forte e in parte anche provocatoria: le frontiere aperte. Legrain ha scritto che l’Europa dovrebbe aprire i suoi confini e accogliere gli immigrati che partono soprattutto dal Nordafrica e che per buona parte arrivano sulle coste italiane. Secondo Legrain l’Europa non dovrebbe porre nessun limite al numero delle persone che cercano di entrare in Europa: dovrebbe permettere a tutti di entrare e di andare dove vogliono.
Philippe Legrain (a lato nella foto) è uno scrittore e economista britannico di 41 anni: è esperto di migrazioni e globalizzazione e negli anni ha collaborato con i principali giornali britannici e statunitensi. Dal 2011 al 2014 è stato consulente economico di José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea. Legrain ha scritto quattro libri: in “Immigrants: Your Country Needs Them”, Legrain già presentava idee simili a quelle espresse nell’articolo del New York Times. Quello scritto da Philippe Legrain è un articolo “op-ed”, abbreviazione di “opposite the editorial page”, scritto da giornalisti, esperti e opinionisti che non fanno parte della redazione del giornale e che quindi non necessariamente ne condividono ideali e linea editoriale.
L’idea di Legrain è molto chiara: l’Europa deve aprirsi agli immigrati perché é giusto e perché ne trarrebbe degli evidenti vantaggi economici. I vantaggi, scrive Legrain, sarebbero superiori a rischi e problemi, che sono stati in passato sopravvalutati e mal calcolati. Per dimostrare la sua tesi, Legrain spiega prima di tutto che l’apertura dei confini non corrisponderebbe a un improvviso aumento nel numero degli immigrati. Dal 2004 al 2007 l’Europa ha aperto i suoi confini a 10 stati ex comunisti, molto più poveri degli altri paesi dell’UE. Da allora i 100 milioni di abitanti di quegli stati avrebbero potuto trasferirsi in altre nazioni europee, molto più ricche della loro: a farlo sono state solo 4 milioni di persone, sparpagliandosi. Questo perché, scrive Legrain, le “porte aperte tendono a diventare porte girevoli”: avendo la certezza di poter entrare e uscire liberamente da uno stato, molti meno cittadini scelgono di trasferirsi definitivamente in uno stato diverso dal loro, preferendo per esempio fare lavori stagionali per poi tornare nel loro paese di appartenenza.
Legrain scrive anche che l’arrivo degli immigrati – oltre a non fare male in senso assoluto – può avere anche degli effetti positivi. Per esempio, nel corso degli anni Novanta, Israele ha accolto molti ebrei che avevano scelto di emigrare dopo la caduta dell’Unione Sovietica. In soli due anni l’eta media della forza lavoro di Israele aumentò dell’8 per cento. Negli anni successivi i tassi di disoccupazione diminuirono e lo stipendio medio dei cittadini israeliani rimase invariato: «non esiste un numero fisso di posti di lavoro disponibili in uno stato. Arrivando, gli immigrati creano nuove richieste, che per essere soddisfatte portano alla creazione di nuovi posti di lavoro», ha scritto Legrain. Questo è un equivoco molto comune e un argomento molto diffuso: ma la prova più grande del fatto che sia sbagliato è che l’arrivo nel mondo del lavoro di milioni di donne tra gli anni Sessanta e Ottanta non ha ristretto le opportunità di lavoro per gli uomini ma ne ha create di nuove, rendendo l’intera società più prospera e giusta (insomma: gli immigrati, anche tecnicamente, non “rubano il lavoro”).
Secondo Legrain l’immigrazione è ciò di cui i paesi europei hanno bisogno per diminuire il debito pubblico, invertire la tendenza del loro declino demografico e rafforzare più in generale un continente vecchio e in crisi.Senza l’immigrazione, la forza lavoro dell’Unione Europa – che nel 2010 era pari a 336 milioni di persone – scenderà a 300 milioni nel 2030, mentre il numero di persone con più di 65 anni salirà nello stesso periodo da 87 milioni a 123 milioni.
Anziché essere una minaccia per il welfare degli stati dell’Europa, un aumento dell’immigrazione renderebbe più sostenibile l’economia degli stati europei. Le tasse pagate dagli immigrati aiuterebbero anche a diminuire il debito pubblico degli stati europei, che attualmente è di 25mila euro per abitante. Un aumento del 10 per cento della popolazione europea ridurrebbe il debito pro capite di ogni cittadino europeo circa 2.300 euro.
Fonte: ilPost
9 maggio 2015