Ci vuole poco a capire che a Colonia è accaduto qualcosa di diverso. Non è la gang di 4/5 persone bensi di qualche migliaio. Pertanto non mi pare affatto esagerato il commento del ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, quando sostiene che gli attacchi subiti dalle donne sono stati «organizzati». Perché, spiega, «Quando si incontra una orda del genere per commettere dei reati, deve esserci una certa forma di organizzazione dietro.».
Quanto accaduto a Colonia e in altre città della Germania la notte del 31 dicembre colpisce per la modalità con cui le violenze sono avvenute. Una modalità “organizzata” e “di massa” che ci ha mostrato, o forse solo ricordato, come la violenza sui corpi delle donne può costituire uno strumento di terrore collettivo, una strategia di controllo sociale e quindi un’arma di guerra.
Scontro di civiltà, hanno detto alcuni. Eppure è una definizione di poco senso. Lo spiega oggi Loredana Lipperini che su Lipperatura fa una misurata ricostruzione degli stupri di guerra nella storia dell’esercito italiano.
Che “un branco di maschi è un branco di maschi, a qualunque latitudine”, lo aveva già ricordato, provocatoriamente ma non troppo, Ida Dominijanni su L’Internazionale. I fatti di Colonia, scrive Dominijanni, sono fatti inquietanti “segnalano che la provocazione dei maschi islamici contro i maschi occidentali tramite l’aggressione delle ‘loro’ donne entra ufficialmente, dichiaratamente, a far parte delle tattiche della guerra civile globale in corso. E questa è certamente una pessima notizia, che non va derubricata”. Le fa eco Natalia Aspesi, dalle pagine di Repubblica, con un intervento che in poche e lucide parole restituisce il quadro di un patriarcato tutt’altro che estinto: “anche le donne occidentali non sono quiete da nessuna parte, in piazza le assaltano gli immigrati ma spesso il branco è del paese, e anche in casa devono stare attente, gli stessi loro uomini che non le avrebbero difese a Colonia possono sempre spaccar loro la testa”.
È meglio non crogiolarsi nella Schadenfreude, la gioia per i guai subiti dagli altri, avverte lo scrittore e giornalista Roberto Giardina su Milano Finanza: “Se la Merkel avesse chiuso le frontiere, come chiedono anche i suoi bavaresi, come gli altri paesi dell’Europa dell’Est, l’esodo di massa avrebbe trovato una sola via di fuga: verso l’Italia.”. Giardina chiarisce: “Le ragazze tedesche studiano in classi dove gli stranieri sono spesso in maggioranza, vengono educate a evitare manifestazioni di razzismo. Sono sempre gentili perché lo ritengono giusto, ma i coetanei, giunti da un altro mondo, equivocano, scambiano gentilezza per disponibilità”.
Ed è Paola Caridi, ormai da tempo studiosa e conoscitrice del mondo arabo, a porci una lista di domande affilate nel bel mezzo di quello che definisce “un terribile cocktail mediatico, un cortocircuito che mette assieme tutto: razzismo, islamofobia, populismo sulla questione delle migrazioni, attacchi ai profughi in quanto disturbatori della quiete pubblica europea”.
Più che davanti a uno scontro di civiltà, siamo di fronte a una guerra tra culture maschiliste, lo spiegaAmalia Signorelli che risponde alle domande di Lettera43 e sottolinea “gli uomini occidentali sono convinti di averci dato loro la libertà e la parità, di avercela gentilmente concessa e per questa ragione di essere infinitamente superiori ai loro colleghi musulmani. Due balle colossali”.
Resta, poi, il timore che per prendere le distanze dalla strumentazione razzista che viene fatta dell’accaduto si arrivi a una sottovalutazione della sua enorme gravità, su Micromega Chiara Saraceno riflette proprio attorno alla questione della violenza di genere come “violenza di serie b”, una questione complessa e che troppo spesso incontra ostacoli per essere riconosciuta.
11 gennaio 2016