ll presidente dell’Inps, Tito Boeri, intervenendo ieri all’evento Elle Active in corso a Milano ha ribadito la necessità di portare, “il congedo obbligatorio di paternità entro il primo mese di vita del figlio fino a quindici giorni”. A supporto egli ha ricordato come, rispetto ai congedi dei padri, nei “primi sei mesi del 2016, da quando cioè è stato introdotto il secondo giorno, abbiamo avuto gli stessi numeri di tutto il 2015”.
Per sostenere la proposta, Boeri è tornato sugli studi condotti in paesi in cui è stato introdotto il congedo di paternità obbligatoria che “hanno dimostrato quanto la presenza del padre aiuti lo sviluppo cognitivo dei figli e ne migliora il rapporto”. Per questo, ha sottolineato Boeri:
“quando si parla di queste proposte non si deve solo pensare al lavoro delle donne ma anche al benessere dei figli”.
Infatti, i provvedimenti adottati – il congedo di paternità è rimasto fermo a un giorno, estendibile a tre in caso di rinuncia da parte della madre – non offrono un adeguato supporto o un incoraggiamento verso modelli più simmetrici di condivisione della cura, che stentano ancora a crescere nel nostro paese.
La situazione fra l’altro è stata ulteriormente aggravata dalla crisi economica poiché, molte famiglie, a causa delle minori disponibilità, hanno dovuto rinunciare a un aiuto esterno, come il calo di colf e badanti registrato dall’Inps conferma. Molte donne continuano a lasciare il lavoro dopo la nascita del primo figlio, e rifiutano il secondo proprio perché sono poco sostenute dai partner e dai parenti o amici da assistere.
Per meglio capire è opportuno dare un’occhiata all’ultimo rapporto dell’ l’ISTAT, l’Istituto nazionale di Statistica, ne quale sono stati descritti i risultati dell’approfondimento tematico “Salute e sicurezza sul lavoro” sulla base dei dati ufficiali del 2013. All’interno del rapporto, che evidenziano il proseguimento della fase di crescita, seppur moderata, del lavoro dipendente:( +0,7%, pari a +122mila), che ha coinvolto sia i lavoratori permanenti (+0,3%, pari a +49mila) sia quelli a termine (+3,1%, pari a +73mila). Su base annua – comparando i dati di luglio 2016 con quelli dell’anno precedente – i dipendenti sono cresciuti dell’1,7%(+285mila).
Sul fronte del lavoro a termine sul totale del lavoro dipendente in Italia è sostanzialmente in linea con quello della media dell’Unione Europea
ma negli ultimi anni il lavoro a termine maschile, che ha quasi azzerato il differenziale di genere, come mai era accaduto prima. Infatti, nel nostro Paese, nel 2015, circa 32 donne su 100 avevano un lavoro su basi orarie ridotte, rispetto a meno di 8 uomini su 100. Nel complesso dal 2008 al 2015 l’incremento del part-time ha interessato entrambi i sessi, ma ciò che più di ogni altro dato balza agli occhi, è il deciso aumento della componente di involontarietà del part-time, incremento che ha riguardato maggiormente la componente maschile dell’occupazione. Così nel 2015 in Italia, l’81 per cento degli uomini che svolgevano un lavoro con orario ridotto lo faceva in maniera involontaria, contro il 60 per cento delle donne. Naturalmente la crisi economica ha giocato la sua parte in questo un aumento dell’utilizzo di forme di lavoro temporaneo.
Cambia qualcosa per la donna? Se l’Italia si caratterizza, a livello europeo, per una buona legislazione in termini di protezione della maternità al momento della nascita del figlio, quello su cui le famiglie italiane faticano di più, invece, è nel trovare supporto da parte dei servizi – soprattutto pubblici, ma anche privati – nella fase in cui è necessario rientrare al lavoro.
Una realtà sofferta particolarmente a Milano città metropolitana, dove “il lavoro è donna”, come è scritto un rapporto approfondito e ricchissimo che fa parte di un progetto del ministero in ambito europeo. Insomma, Milano supera la media italiana ed europea. Ma la sociologa Lorenza Zanuso chiosa: “Nonostante una dotazione di servizi per l’infanzia pubblici e privati più ampia rispetto alla media italiana, non è una città children friendly”.
Se questo è lo scenario meglio si capisce la promessa del nostro sindaco Sala quando dopo aver ammesso che, “La realtà va cambiata”, perché, “neanche la nostra città brilla”, ha ribadito che, “ci sforzeremo di far sì che i servizi ai cittadini permettano alle donne e soprattutto alle donne madri di lavorare”. Chi mi conosce sa che questo impegno da sempre è per me prioritario.
Arianna Censi