Gli Stati Uniti, la Siria, le Donne e i Bambini. La Grande Menzogna

Vi propongo con piacere la lettura di quest’articolo che offre una visione inedita degli scenari della guerra in Siria. L’ autrice è Zillah Eisenstein  che  da trenta anni s’impegna sulle problematiche di genere. E’una scrittrice e una attivista famosa  di livello internazionale. Insegna Teoria politica femminista e anti-razzista all’Università di Itaca, Stato di New York
 Zillah Eisenstein

Zillah Eisenstein

di Zillah Eisenstein

Sebbene gli Stati Uniti e la Russia avessero pianificato una  tregua in Siria durante la quale sarebbero stati ispezionati gli arsenali del presidente  Bashar al-Assad  per verificare la presenza di armi chimiche dei suoi arsenali, la guerra civile ha continuato a infuriare in tutto il Paese con altre migliaia di morti e milioni di persone da mesi senza più un tetto. Fortunatamente ( si fa per dire) ora più che mai  il sentimento contro la guerra è maggioritario negli Stati Uniti.

Tuttavia, i mantra che i leader politici ripetono in favore della guerra devono continuare ad  essere esaminati meticolosamente. Soprattutto quando s’incappa nell’espressione “donne e bambini”. Le guerre degli Stati Uniti in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan, e pure la prospettiva di un attacco alla Siria, sono tutte motivate dall’esigenza di proteggere “donne e bambini”, a qualsiasi costo. Anche della vita, come la guerra impone.

Il presidente statunitense Barack Obama, per esempio, si è detto favorevole a un intervento contro la Siria per salvaguardare dal pericolo delle armi chimiche  “donne e bambini”. Il suo Segretario di Stato John Kerry ha usato le medesime parole.

Queste alchimie di sapore patriarcale, intrise di retorica nazionalista con le quali si mira a tenere alta la distinzione tra i generi sono spesso indicate come la migliore arma per proteggere la propria nazione, e per giustificare ogni intervento armato contro chiunque con le armi la minacci. Mi spiego: se il ricorso alla guerra chimica è disumano, lo è per l’intero genere umano, non soltanto per le donne e i bambini. L’età e il genere non hanno bisogno di essere specificati. Tuttavia nei discorsi ufficiali sono molti coloro che insistono nel collocare le donne e i bambini da una parte, e gli altri dall’altra parte.

Inoltre, tutto il chiasso che s’è levato intorno ai gas velenosi di Bashar al-Assad , e alla “linea rossa” tracciata dal presidente Obama, ha smorzato l’attenzione verso le altre guerre che divampano sul pianeta. Si pensi all’Afghanistan per esempio. Sicché nell’immaginario collettivo si fa largo l’idea che esistano guerre “buone” e guerre “cattive”. Malauguratamente sono pochi i media che ricordano che la guerra non guarda in faccia ad alcuno, non fa distinzioni tra uomini, donne e bambini.

 “donneebambini”

Ai tempi della prima Guerra del Golfo, la docente universitaria anti-militarista Cynthia Enloe ha coniato l’espressione composta da una sola parola: “donneebambini” che  divenne lo slogan per marchiare il coinvolgimento degli Stati Uniti in Iraq. Quello stesso slogan viene ora riproposto ora in Siria.

Sicché la mia prima domanda è:  perché si supporta col il ”donneebambini”   ogni qualvolta si condanna  Assad come colui che avrebbe impiegato contro la popolazione civile le armi chimiche? Le armi chimiche oltrepassano tutti limiti dell’orrore, (sebbene io sia dell’idea che tutte le armi li superano),  ma evocare i gas letali e il pericolo che incombe su “donneebambini” diventa la mistura ideale con la quale i leader  politici esplicitano l’azione militare per ottenerne il consenso della pubblica opinione. Guerra anche come  mezzo ineludibile per salvaguardare la  sicurezza della Nazione. Così operando la difesa di “donneebambini” si identifica con quella della nazione, producendo nell’opinione pubblica forti emozioni che si traducono in un pieno appoggio alla guerra.

Beninteso, questo mistura non ha alcun senso, è contro ogni concetto di democrazia partecipata. A meno che non si dica chiaro e tondo  che si vive in un regime di tipo patriarcale secondo il quale le donne non sono uguali agli uomini. Anzi esse sono sottomesse agli uomini in quanto diverse e bisognose di protezione.

E’ vero che  tante sono le donne che hanno bisogno di essere protette dalla violenza domestica, e anche i bambini sia quelli che sono nati in Afghanistan, come quelli che sono nati Detroit hanno bisogno di essere protetti dalla violenza e messi a riparo dalla povertà. Ma poco se ne parla di quegli scenari, come se quelle realtà quasi non esistessero. La preoccupazione per “donneebambini”  diventa un problema quando viene accostata alla guerra in Siria. Perché si parla di protezione adesso, in questa particolare circostanza?

Sicché la mia domanda è: perché è peggio uccidere con i gas le donne e i bambini piuttosto che gli uomini? Se l’uso delle armi chimiche viola la nozione di “umanità”, come declama Obama, perché si esalta soltanto il dramma di una sola parte di essa dimenticando l’altra parte? Ancora, perché si continua a ripetere che in una guerra  le  donne debbano per prime essere salvate? La retorica e la mala informazione sono davvero dure a morire. Basti pensare che in un paese in guerra la vita di ognuno è in pericolo, e i rischi si calcolano a grado e non a genere. Tanto per cominciare, la vita è precaria, ma diventa a rischio estremo durante una guerra.

E così, invece di dare direttive  paternalistiche  ostinatamente sbagliate, di foclizzare l’attenzione pubblica su ”donneebambini”, perché non discutere su come porre fine alla guerra, di come approvvigionare di scorte di viveri  i due milioni di rifugiati della Siria,  di come poter finanziare le scuole nei campi profughi, e così via?

Costruzione misogina della  nazione

A completamento del quadro, va pure aggiunto che sono molti i politici e i leader che alla parola nazione preferiscono l’accattivante “Madrepatria”. Perché dico accattivante? Perché le nazioni sono rappresentate come le madri, che partoriscono le nazioni. Un connubio indistricabile e assurdo che glorificando la donna come generatrice della nazione di fatto la iberna.

Poiché così declamando il corpo femminile, il corpo materno, diventa la lente attraverso la quale viene identificata la nazione: un percorso immaginario e immaginato. Tutte le nazioni si distinguono in base al genere, alla razza, alla storia eccetera,  ma questi diversi aspetti diventano secondari di fronte all’immagine di “Madrepatria” . Le donne sono una comoda metafora della fantasia; sono più utili  per quello che simbolizzano  piuttosto che per le cose che sanno veramente  fare. Questo è il risultato della gestione patriarcale del potere.

Non importa che centinaia di migliaia di donne statunitensi facciano parte delle forze armate, o che le donne afghane abbiano combattuto attivamente contro le forze statunitensi, o che le donne siriane siano presenti sui entrambi i fronti della guerra civile che dilania il loro Paese.

Quando viene presentata come “madre della nazione”, la donna è un’immagine distorta, simbolica anche, ma sempre creatura del fantastico. Paradossalmente è invisibile e visibile. Le nazioni devono smetterla di usare questa retorica misogina e nazionalista per non dire fascista. Esse devono farsi carico dei problemi veri. Invece di proteggere le “donne e i bambini” dalla guerra chimica,  o di chiedere  che vengano tratti in salvo per primi da un incendio,  o che salgano per primi su una scialuppa di salvataggio, dovremmo creare delle comunità  umane eque e sostenibili, libere dalle angosce della corsa agli armamenti. La mia è una visione utopica? So che in molti mi risponderebbero di sì. Ma intanto cominciamo con lo scrollarci di dosso questa retorica fuorviante di sapore patriarcale che si riassume in quel “donneebambini”. Non è difficile. Poi staremo meglio di sicuro.

Fonte: Znet – The Lie of ‘Women And Children’

05 ottobre 2013

 

 

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