Volentieri vi suggerisco la lettura di questo articolo di Giulia Mattace Raso pubblicato su Arcipelago Milano perché è il prezioso compendio della tavola rotonda alla quale ho partecipato lunedì scorso a Palazzo Isimbardi. Buona lettura.
di Giulia Mattace Raso
Helen Khudhur, Fryal Saado, Nadaa Osman, Shilan Alchomer i vostri nomi, quelli che mancavano sulla locandina che annunciava il nostro incontro, lunedì 6 marzo, promosso da Wiis Italia, ospiti di Città Metropolitana a Palazzo Isimbardi. Non avevamo avuto ancora modo di conoscerci.
“Le donne sono forti”, “le donne sono alla base della società e della vita”, “le donne hanno un grande potere dentro di sé”, “siamo qui non solo per studiare ma per affermare che le donne sono in grado di fare tutto”, non ci può essere limite alla forza della loro libertà. Questo ci avete detto con determinazione.
Abbiamo intravisto nelle parole di ciascuna di voi la risoluzione e la vitalità di abbracciare l’occasione proposta da Yazda, una borsa di studio in un paese straniero, in una città di cui sai solo il nome, una etichetta, di cui non conosci la cultura, la lingua; condividi con le tue compagne le origini e la scelta di un destino, ma sono nuove anche per te, hai venti/venticinque anni, sei una giovane donna di un popolo, quello yazida con una storia dolorosa alle spalle. Forza e vitalità di chi fortunosamente non ha subito violenza, ma che non si sottrae a farsene portavoce.
Gli yazidi sono una minoranza religiosa pacifica (“che fonde le tradizioni dello gnosticismo e zoroastrismo con credenze religiose animiste preebraiche, precristiane e preislamiche”) che vive nel Sinjar nel nord dell’Iraq, uomini e donne perseguitati dall’Isis oggetto di pulizia etnica dall’agosto 2014.
La forza e l’impellenza di raccontare la storia del genocidio yazida, l’orrore e la sofferenza per gli abusi, gli stupri di massa come arma di guerra, la riduzione in schiavitù sessuale, la gravidanza forzata, la negazione di ogni diritto delle donne, vittime di crimini sessuali compiuti da militari e milizie, riconosciuti dai tribunali penali internazionali solo in seguito ai genocidi nella ex Yugoslavia e in Ruanda come crimini di guerra e crimini contro l’umanità, a cui si aggiunge la conversione forzata, la vita terribile delle superstiti.
A questo grido di dolore, a questa richiesta d’aiuto, a questa affermazione di dignità vorremmo e abbiamo risposto in parte già così, nel nostro incontro, in cui la città tutta vi ha accolto in una sua sede istituzionale per darvi voce e ascolto, perché possiate sentirvi meno sole, ospiti gradite e scortate, per festeggiare insieme l’8 marzo.
La vostra storia ci interpella, una voce vi ha precedute, quella di Nadia Murad nel maggio scorso a Milano al Festival dei diritti umani, oggi Ambasciatrice dell’Onu, che vi ha fatto giungere fino a qua. L’Università Bicocca vi ha accolte, vi ospita e finanzia il vostro corso di studi. La rettora ha lottato per voi e noi con lei investiamo sulla vostra formazione: un investimento sul vostro futuro e su quello degli studenti milanesi che arricchite con la vostra presenza.
La vostra storia non è dimenticata, c’è una inviata speciale del Corriere della Sera che ce la racconta, e ci aiuta a capire quanto è complicato e denso il contesto in cui si svolge. Ci racconta l’umiliazione di chi è costretto a finanziare la guerra dell’Isis pagando i riscatti per le proprie donne. Ci rivela che in quella guerra le donne sono vittime, combattenti, ma anche carnefici, oltre che future costruttrici di pace.
La vostra storia è qui con noi tutti i giorni, quando c’è chi accompagna le donne passate dai campi profughi libici che violentate scelgono di interrompere la gravidanza. E ci rendiamo conto che non dobbiamo rinunciare ai nostri strumenti, (raccogliere il dna di un feto) perché rintracciare un colpevole è possibile e non debbono venire meno le prove per inchiodarlo alle sue responsabilità. Perché una giustizia sia concepibile.
La vostra storia è così potente, e lacerante, che nel settembre scorso il Parlamento italiano ha votato una mozione per riconoscere il genocidio yazida e impegna il governo affinché la corte penale internazionale lo persegua: ci sono deputate al vostro fianco, che hanno ottenuto finanziamenti, in ordine alla risoluzione Onu 1325, per piani d’azione sul ruolo delle donne nei conflitti.
La vostra storia non rimarrà solo un racconto se il Governo italiano coglierà l’opportunità del seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per fare pressione sulla comunità internazionale. Perché la risoluzione Onu 1325 (ottobre 2000) per assicurare la partecipazione delle donne nella costruzione di una pace sostenibile, sia realmente implementata, quando afferma l’urgenza sia di mettere fine agli abusi perpetrati nei contesti di guerra nei confronti delle donne e delle ragazze, quanto quella di garantire una piena ed efficace partecipazione delle donne in tutte le fasi del processo di pace.
Un invito finale perché possiate raccontare la vostra storia in un video che raggiunga tutti i comuni di Città Metropolitana perché l’istituzione si faccia promotrice di una memoria viva, attuale, quanto quella riconosciuta ai Giusti, per un dolore altrettanto indicibile.
Fonte: Arcipelago Milano