ANNIVERSARIO. Sacco e Vanzetti, condannati per un’accusa falsa, puniti per la loro dissidenza politica

Sacco e Vanzetti

Sacco e Vanzetti

Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. […] Ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora”.

Bartolomeo Vanzetti scolpiva nella storia le sue parole d’onore e di verità, in un’aula di tribunale. Era il 19 aprile 1927 e dinanzi al giudice l’anarchico italiano imbastì un discorso fiero e commosso, che era già un discorso di commiato: il suo destino, e quello dell’amico Nicola Sacco, era scritto. Lo sapevano tutti, persino i muri di quel tribunale di Dedham, in Massachusetts. Lo sapevano i poliziotti, gli avvocati, i procuratori, i rappresentanti del governo, i giornalisti. Lo sapevano i due dead men walking, proletari figli dell’utopia, stritolati tra il valore supremo della giustizia, perseguito dal popolo, e l’esercizio dell’ingiustizia, subdola strategia del potere. 

Due uomini retti, Sacco e Vanzetti. Due vittime designate, contestatori non violenti di un sistema xenofobo e fintamente democratico, disposto a sacrificare ogni “nemico interno” sull’altare dell’autoconservazione. Nemici interni erano gli stranieri, così come i comunisti, gli anarchici, i sovversivi, oggetto di quella “paura rossa” che negli anni Venti – così come nei primi Cinquanta – divenne mitologia collettiva, sfociata in politiche persecutorie. Bisognava dare una lezione alla società. Bisognava raccontare la dissidenza come il peggiore dei mali e spiegare che la sicurezza degli americani dipendeva da quella stretta feroce inflitta ai ribelli, ai diversi.

Sacco e Vanzetti, immigrati in America agli inizi del Novecento, erano un calzolaio e un pescivendolo. Impegnati in battaglie politiche e civili: manifestazioni, scioperi, volantinaggi, chiedendo più diritti per la classe operaia. La loro vicinanza al movimento anarchico, così come quella condizione di poveri clandestini, emarginati da una società classista, ne fecero due agnelli sacrificali ideali. Il loro fu un processo esemplare, costruito ad hoc sulla base di un’accusa indimostrata – l’assassinio di due uomini durante una rapina, a Boston – utile ad offrire agli americani due condannati perfetti.

Così volle il Governatore Alvan T. Fuller, così volle il giudice Webster Thayer, che li chiamò “bastardi anarchici”. E così, con una colpa non loro, nonostante la sollevazione internazionale, i due “wops” (“senza documenti”, temine dispregiativo con cui si bollavano gli immigrati italiani) finirono i loro giorni in cella, nel penitenziario di Charlestown. Qui, il 23 agosto del 1927, morirono sulla sedia elettrica. Per non aver commesso il fatto. A cinquant’anni da quell’”errore giudiziario”, sapientemente architettato, Michael Dukakis, governatore del Massachusetts, ammise i vizi del processo e riabilitò la figura dei due innocenti.

Il 23 agosto 2014, 87esimo anniversario dalla loro morte, il mondo ritrova un filmato inedito di 4 minuti e mezzo: sono le immagini dei funerali, affollatissimi e presidiati da centinaia di poliziotti, girate clandestinamente dagli operatori del Defense Committee, un comitato di sostegno messo su a Boston dall’anarchico e giornalista toscano Aldino Felicani.

Il documento rimase nascosto, a causa del divieto delle autorità di filmare e fotografare l’evento: troppo rumore intorno a quella vicenda, troppi sospetti, troppe paure. Rintracciato, finalmente, il girato è adesso al centro di un tour commemorativo che è partito dall’Istituto De Martino di Sesto Fiorentino (22 agosto), per proseguire il 25 a Torremaggiore (Foggia), borgo natale di Sacco, e il 28 a Villafalletto (Cuneo), dove nacque Vanzetti.

24 agosto 2014

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