Questo blog è originariamente apparso su The Huffington Post France ed è stato tradotto dal francese. Lo pubblichiamo come contributo a un dibattito tuttora aperto
di Catherine Deneuve
La legge Veil (che consente l’aborto in Francia dal 1975, ndT) oggi compie 40 anni ed è un progresso fenomenale. Proprio quando altri Paesi mettono in dubbio il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, fatto gravissimo, noi invece celebriamo i quattro decenni dalla sua nascita. Sono convinta che in Francia non torneremo indietro rispetto a questo diritto acquisito perché le donne lo impediranno. È come se volessimo ripristinare la pena di morte, è impensabile.
I movimenti per la vita rimangono un’aberrazione, tuttavia posso comprendere l’opinione di alcuni cattolici molto religiosi e la libertà d’espressione nella nostra democrazia che garantisce a chiunque il diritto di sostenere le proprie idee.
Il diritto all’aborto ha favorito in maniera determinante la parità tra uomo e donna. Da quel momento, non ho potuto che rallegrarmi dei progressi di questa battaglia. Parlando della nostra professione, posso portare come esempio quello delle donne che, tra le altre figure, guadagnano sempre più accesso al mestiere di regista o di produttrice.
Naturalmente in questo campo le donne dovranno sempre provare il doppio del loro valore, e dovranno costantemente confrontarsi con lo scoglio che tende ad allontanarle dal mondo del lavoro imponendo un congedo di maternità, senza che questo sia previsto per gli uomini. Questa spada di Damocle continuerà ad esserci. Eppure credo anche alla capacità delle donne di mettere in sicurezza il proprio perimetro sia nella vita privata che nella vita pubblica. Conciliare figli e lavoro, questa sarà la nostra sfida per l’eternità…
Leggevo ultimamente un articolo sui padri in Giappone che scelgono di rimanere a casa per occuparsi dei bambini. Sono percepiti in maniera negativa dalla società e vengono sminuiti senza tregua. Ma trovavo interessante il fatto che esistano, questi padri. Una piccola percentuale della popolazione, certo, e tuttavia presenti.
Per quanto riguarda la mia adesione al “Manifesto delle 343” pubblicato dal Nouvel Observateur (appello di 343 donne celebri e meno celebri che hanno ammesso di aver abortito, ndT), non avrei mai immaginato che sarebbe stata trattata con tanta violenza e volgarità. Mi sentivo ancora più turbata dal momento che mi trovavo all’estero quando è stato pubblicato. Il mio avvocato mi ha chiamata per dirmi che alcuni nomi erano citati, e non altri, e per raccontarmi l’effetto che aveva avuto sugli opinionisti. In seguito la mia paura è svanita rapidamente, per me erano molto più importanti il contenuto e la portata politica del Manifesto.
Col senno di poi, non desidero riempirmi di orgoglio per essermi impegnata civilmente. Sono convinta che averlo firmato non sia stato un atto eroico. È la follia che si è impadronita degli uomini dopo la pubblicazione ad avergli conferito una tale importanza.
Parlando di follia, in maniera meno grave, il Manifesto dei 343 “maiali” che volevano mettere fine alla penalizzazione dei clienti delle prostitute mi ha fatto molto sorridere, senza subbio per il suo sapore opportunista, legato al fatto che oggi per farsi sentire occorre urlare a squarciagola… Tra l’altro anch’io sono contro la penalizzazione dei clienti, ma non la esprimerei mai in quella maniera.
Ad ogni modo le donne hanno tutto l’interesse a sentirsi solidali, a darsi una mano reciprocamente, a comprendere le altre donne. Ho cercato di creare questo circolo virtuoso nella mia vita privata. Spero di esserci riuscita.
E lo devo, in parte, a Simone Veil. Mi piacerebbe poterle dire che lei è l’orgoglio delle donne, la forza, il coraggio, la convinzione e la pervicacia nell’azione. L’ammiro, così come ammiro Roberto Badinter per aver cancellato la pena di morte. Simone Veil ha avuto il coraggio supplementare di opporsi alla stragrande maggioranza, composta da uomini. E di non aver ceduto.
Essere donna è bello.
28 novembre 2014