Il consiglio dei Ministri ha rinviato al Parlamento la regolazione delle norme per l’applicazione della legge 40 in Italia. Secondo alcuni, ora l’eterologa sarà vietata sino all’approvazione di una legge vera e propria: un iter, che rischia di essere lunghissimo e di penalizzare le molte coppie che già si erano messe in moto con richieste e speranze
La decisione n. 162 del 2014 dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 3, della legge 40 del 2004, che prevede il divieto assoluto della cd. Fecondazione eterologa, cioè la fecondazione ottenuta con uno o entrambi i gameti estranei alla coppia.
La Corte ritiene tale divieto contrario all’art. 2, che sancisce il diritto “incoercibile” alla vita familiare, all’art. 3, in quanto norma irragionevole e discriminatoria fra coppie anche in ragione delle condizioni economiche (aspetto su cui la corte insiste moltissimo), all’art. 32, che tutela il diritto alla salute e garantisce l’autonomia del medico e della scienza.
In sostanza, la Corte incentra la sua pronuncia sui principi di autonomia e di responsabilità delle coppie e dei medici.
Nella decisione, in modo sorprendente, la Corte esamina nel dettaglio tutta la normativa applicabile, concludendo che non esiste alcun vuoto normativo e che al contrario tutte le norme applicabili alla fecondazione omologa vanno applicate a quella eterologa, evidenziando gli aspetti specifici.
In una relazione a un Convegno il giudice Tesauro (relatore ed estensore della decisione) ha affermato che al giudice costituzionale è apparso chiaro che non vi fosse alcun fondamento costituzionale a quel divieto e che una volta caduta quella norma, la legge 40 si applicasse perfettamente anche alla fecondazione eterologa.
Dal punto di vista costituzionale, dunque, all’indomani della decisione della Corte (e cioè dall’11 giugno), vi è un dovere istituzionale di cominciare a garantire alle coppie italiane la possibilità di effettuare la fecondazione eterologa in Italia, nel rispetto delle norme vigenti.
Il decreto-legge del ministro Lorenzin, però, è andato oltre e infatti è stato valutato positivamente dalla maggior parte degli esperti medici e giuristi. Nella bozza di decreto, infatti, vi erano poche norme organizzative, dedicate al recepimento delle direttive (a mio avviso non necessario), alla tenuta di un registro, e una norma fondamentale, l’inserimento dell’eterologa nei Lea. Quest’ultima, a mio avviso, consentirebbe una piena attuazione della decisione costituzionale, nella quale è centrale il problema della discriminazione economica.
Il punto debole del decreto-legge, però, era proprio lo strumento, dal momento che si sarebbe corso il rischio, una volta portata la materia in Parlamento, che il dibattito non ruotasse in ordine alle norme necessarie per far partire pienamente l’eterologa, ma su nuovo questioni di principio di segno opposto.
Rischio che diviene assoluto se si chiede al Parlamento di intervenire direttamente e autonomamente sul tema.
Questa materia è stata oggetto fin dalla nascita della legge 40 di uno scontro ideologico del tutto estranei dai bisogni reali dei cittadini e il pericolo che divenga di nuovo oggetto di tale scontro non può essere corso.
In ogni caso, la decisione costituzionale, in assenza di un intervento immediato, come quello immaginato dal Ministro Lorenzin, deve essere comunque applicata e non si può pensare che siano necessari autorizzazioni o permessi, oltre a quelli già concessi ai centri per effettuare la fecondazione omologa. In questa situazione, dunque, come ha già dimostrato la delibera (della cui legittimità si può discutere, ma su altri profili) della Regione Toscana, è possibile allora che si scateni una corsa in prevalenza dei centri privati a poter praticare l’eterologa.
Il ritiro del decreto-legge e il richiamo in Parlamento ha sicuramente fatto brindare le cliniche private, ma costituisce, purtroppo, un pericoloso stop alla possibilità che in questa materia i centri pubblici, che pure ci sono e sono eccellenti, riescano a tenere il passo.
Va ricordato anche che le richieste delle coppie italiane non abbienti di poter finalmente ricorrere alla tecnica in Italia è altissima: io stessa ne ho incontrate molte allo sportello istituito dal Comune di Milano di informazione e aiuto. Mi ha sorpreso il numero sommerso di persone che non possono permettersi il viaggio all’estero e che quindi non si potrebbero permettere neanche i costi delle nostre strutture private, che come si sa, risultano del tutto proibitivi.
Di seguito riporto in dettaglio il quadro normativo applicabile oggi e qualche osservazione sulla possibilità fin da ora di chiedere che gli embrioni congelati all’estero siano riportati in Italia o che si possa acquistare materiale genetico dai centri esteri (aspetti che nel decreto-legge erano regolati in modo preciso, ma che fin d’ora possono essere attuati).
Le norme applicabili, in quanto già presenti nell’ordinamento.
In materia di donazione dei gameti, esiste già una disciplina che stabilisce i “paletti” della fecondazione eterologa.
In primo luogo, la disciplina “familiare”, di cui all’art. 9, della legge n. 40 del 2004, che vieta il disconoscimento di paternità e la richiesta di non essere nominata della madre e prevede che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”.
La legge n. 40, dunque, disciplina specificamente tutte le conseguenze che derivano dalla nascita di un bambino con procedure di fecondazione eterologa.
Allo stesso tempo, occorre rilevare come i paletti dell’art. 9 siano univocamente diretti alla tutela e protezione del nato con tecniche di fecondazione eterologa, rispetto a ripensamenti dei genitori biologici e affettivi.
Per effetto della caducazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, per questi motivi, le scelte dei genitori biologici e affettivi, in ordine alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo, sono possibili entro un recinto ben delineato, in cui il nato gode di indubbie e marcate tutele.
In secondo luogo, a tutela dei donatori viene in rilievo la disciplina relativa alla commercializzazione dei gameti. In particolare l’art. 12, sesto comma, dispone il divieto rafforzato dalla sanzione penale della realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione in qualsiasi forma della “commercializzazione di gameti o di embrioni o [del]la surrogazione di maternità”.
Infine, vengono i principi della volontarietà e della gratuità della donazione, che emergono dal D.lgs. n. 191 del 2007 (Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani) e dal D.Lgs n. 16 del 2010 (Attuazione delle direttive 2006/17/CE e 2006/86/CE, che attuano la direttiva 2004/23/CE per quanto riguarda le prescrizioni tecniche per la donazione, l’approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani, nonché per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani).
Con specifico riferimento a questi ultimi occorre osservare come essi contengano le regole e le procedure per la donazione di organi, tessuti e cellule e che quindi devono ritenersi applicabili anche alla donazione delle cellule riproduttive, ovvero i gameti, anche perché richiamati e in base al fatto che i Centri di procreazione medicalmente assistita ai sensi dello stesso provvedimento (art. 3 comma 1) nonché del Documento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni del 15 marzo 2013 sono stati qualificati “Istituti dei tessuti”.
In particolare, si veda fra gli altri l’art. 12, D.lgs. n. 191 del 2007, che detta i principi della donazione di tessuti e cellule, disponendo che la donazione di tessuti e cellule è volontaria e gratuita e che “Il Ministero della salute, le regioni e le province autonome, il CNT o il CNS, in collaborazione con le rispettive associazioni e federazioni dei donatori volontari adottano […] tutte le misure necessarie per assicurare che le attività di promozione e pubblicità a favore della donazione di tessuti e cellule umani siano conformi agli orientamenti e alle disposizioni legislative vigenti”.
Inoltre l’art. 13, D.lgs. n. 191 del 2007, prevede che l’approvvigionamento di tessuti o cellule umani sia consentito solo se sono soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa sul consenso informato, sull’espressione di volontà o sull’autorizzazione alla donazione.
Infine, gli artt. 14 e 15, D.lgs. n. 191 del 2007, disciplinano la protezione dei dati e la tutela della riservatezza, oltre che le procedure di selezione e valutazione dei donatori e l’approvvigionamento dei tessuti.
In merito alla disciplina dell’anonimato della madre e del possibile diritto del nato a seguito di donazione dei gameti di conoscere la propria madre biologica, occorre richiamare la fondamentale sent. n. 278 del 2013 della Corte costituzionale, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma settimo, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non prevedeva “- attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata […] su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”.
Si deve quindi sottolineare che l’ordinamento contiene già le regole necessarie in tema di anonimato della madre e che nella sentenza del 2013 la Corte abbia già vagliato e sia già intervenuta sul bilanciamento operato dal legislatore tra diritto del figlio a conoscere le proprie origini e diritto della madre all’anonimato. Quest’ultimo prevale, tanto che l’unica eccezione ammessa è subordinata al ripensamento della madre.
Quello che le coppie possono fare all’indomani della decisione della Corte costituzionale.
Si possono a questo punto prospettare alcune conclusioni in materia di procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti esterni alla coppia.
Come noto, la legge n. 40 poneva determinate sanzioni a carico degli operatori sanitari che avessero, in Italia, posto in essere il trattamento costituito dalla procreazione assistita con donazione di gameti esterni alla coppia.
L’art. 12, primo comma, infatti, puniva chiunque a qualsiasi titolo utilizzava gameti esterni alla coppia, violando il divieto originariamente stabilito all’art. 4, comma terzo, con una sanziona amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro.
Occorre sottolineare come, anche prima della decisione della Corte costituzionale, la coppia che all’estero o anche in Italia effettuava questo tipo di tecnica non poteva essere punita. Il comma ottavo del medesimo art. 12, infatti, stabiliva che non sono punibili l’uomo o la donna ai quali vengono applicate le tecniche (fra le altre) con donazione di gameti esterni alla coppia.
Come si evince dal dispositivo della decisione, con la sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale si è inciso anche su tale previsione (art. 12, primo comma), rendendo, quindi, non più punibile la condotta di chi effettua quel tipo di tecnica.
Un’altra disposizione che occorre considerare da questo punto di vista è quella contenuta nel comma sesto dell’art. 12. Si prevede la punizione di chiunque in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità. La pena è della reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa da 600.000 a un 1.000.000 euro.
Occorre, pertanto, soffermarsi sulla applicabilità della norma a quelle coppie che magari hanno acquistato all’estero i gameti e li hanno depositati in un centro medico.
Ci si deve in particolare interrogare se, alla coppia che porta in Italia i gameti acquistati all’estero si possano applicare le categorie relative alla realizzazione o organizzazione o pubblicizzazione di commercializzazione di gameti e embrioni.
Sembra a chi scrive che tale opzione interpretativa vada esclusa, in ragione del fatto che l’attività commerciale è da riferirsi a chi eventualmente offra sul mercato gameti o embrioni (e che pertanto appresti una struttura organizzata tesa a questo scopo).
A maggior ragione, dopo la rimozione del divieto, le coppie che hanno congelato embrioni all’estero potranno chiedere di riportarli in Italia, per sottoporsi qui all’impianto: per gli embrioni conservati nei Paesi comunitari, infatti, vigono le stesse regole sulle donazioni, stabilite da una direttiva europea, recepita nel nostro Paese; per quelli congelati in Paesi extra-comunitari il medico dovrà a mio avviso avvertire le coppie dei rischi, le quali potranno chiedere di effettuare sugli stessi una diagnosi preimpianto, in Italia legittima.
Fonte: VOX Osservatorio italiano sui diritti
13 agosto 2014