di Irene Severini
Gli orti urbani sono una realtà sempre più presente nelle città italiane, europee e statunitensi. Inizialmente pensati come passatempo per anziani costretti in città, vengono ora richiesti sempre più spesso da giovani, studenti, famiglie e adulti che, finita la giornata di lavoro, si tolgono la giacca, infilano gli stivali e affondano le mani nella terra: zappano, vangano, seminano, annaffiano e raccolgono. Questi patchwork di piccoli appezzamenti di terra, appena fuori città, sono spazi verdi che generalmente non appartengono a chi li coltiva ma più spesso sono del Comune o di cooperative. La cifra delle persone coinvolte nel nostro paese è notevole: 2,7 milioni secondo i dati dell’ Osservatorio Nomisma – Vita in campagna sull’agricoltura amatoriale. Il 47% di questi amatori è composto da pensionati, mentre il rimanente 53% è ripartito tra casalinghe (14%), impiegati (12%), operai (10%), lavoratori autonomi, commercianti e imprenditori (in tutto 8%), insegnanti (4%).
Di orti in città se ne erano visti anche in passato: durante il dopoguerra, nelle zone bombardate erano fioriti timidi appezzamenti coltivati per contribuire al sostentamento della famiglia. Poi la ricostruzione, il boom economico, il cemento. E gli orti urbani, di nuovo. Ma questa volta con una motivazione diversa, in primis il bisogno di riscoprire una parte del nostro DNA, l’aspetto contadino dell’uomo, il rapporto con Madre Terra (il 63% del totale, dati Nomisma), e poi la soddisfazione di nutrirsi di ciò che si è prodotto in modo sano (60%), il gusto di ritrovare in tavola la stagionalità dei frutti e delle verdure, la possibilità di risparmiare (18%), il piacere di conoscere persone nuove.
Massimo Spigola, responsabile area Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma, ci informa che gli orti realizzati su terreni pubblici e assegnati ai cittadini dalle amministrazioni sono una quota preponderante. Solo quelli per gli anziani assommerebbero a circa 18.000, di cui la maggior parte localizzati al Nord (14.000 solo in Emilia Romagna). A questi si aggiungono gli orti privati e quelli spontanei che ancora sopravvivono nei campi brulli tra i palazzi o lungo le strade e le ferrovie.
Secondo un censimento del Comune di Roma, nella capitale gli orti abusivi sarebbero circa 2500 per un totale di terreno coinvolto di 90 ettari. Gli orti condivisi sono invece un’altra tipologia che pure sta crescendo. Un censimento realizzato a Roma dagli architetti Luca D’Eusebio, Andrea Mangoni e Silvia Cioli (Zappata Romana, di cui abbiamo già parlato sulle pagine di questo giornale) ne ha contati più di cento. Si tratta di orti gestiti da gruppi di cittandini o associazioni che recuperaro nei quartieri romani terreni abbandonati per ricavarne spazi di condivisione, sia da coltivare insieme che come spazio di gioco nella natura. Due esempi ormai “storici” sono quello di San Lorenzo, quartiere centrale di Roma, in cui tre associazioni hanno realizzato su un terreno ex privato un campo giochi con orti e spazi conviviali. L’altro è alla Garbatella (vedi video relativo disponibile sul nostro giornale) dove alcune famiglie e associazioni, hanno recuperato un terreno nei pressi della sede della Regione Lazio mettendolo a coltivazione collettiva.
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Gli effetti delle scelte di questi individui/realtà associazionistiche che non possono certo essere confuse con agricoltori part-time o con piccole aziende agricole, sono vari e nei vari ambiti. A livello ecologico, hanno un buon impatto e seppure non siano rilevabili statisticamente, dato che non effettuano queste attività professionalmente, producono benefici ambientali e territoriali importanti.
Inoltre ci sono benefici ancora maggiori nella sfera della crescita personale e umanitaria. Infatti, spesso, in questi pochi metri di spazio si sviluppano amicizie nate quasi per caso, da consigli sulle colture o scambi di ricette, suggerimenti e gesti gratuiti: non di rado la frutta e la verdura prodotte in abbondanza dalla terra vengono altrettanto generosamente ridistribuite tra i vicini di orto. Questi agricoltori solitamente non sono esperti, ma nel giro di pochi mesi riescono ad acquisire una certa confidenza con le varie operazioni legate alla coltivazione e alla gestione del campo che, se durante l’inverno richiede circa una visita alla settimana, in estate ha bisogno di una presenza quasi quotidiana. Altri prendono invece come spunto la coltivazione della terra per lavorare con i disabili o per reinserire lavoratori in mobilità, persone con problemi di adattamento sociale o per proteggere determinare aree da speculazioni edilizie ecc.
Senza contare che sempre più spesso gli orti urbani diventano anche meta di gite scolastiche e tour didattici, che consentono così ai bambini di conoscere ciò che a volte non hanno mai visto da vicino: un albero di melo, una pianta di pomodori, un cespuglio di more.
Oggi aggiudicarsi un orto è abbastanza semplice e a volte basta andare sul sito del Comune della propria città, indicare la preferenza di una zona o di un quartiere e richiedere l’assegnazione di un appezzamento. Dopodiché, se si è fortunati, non rimane che rimboccarsi le maniche e imbracciare la vanga!
Fonte: il Cambiamento
10 dicembre 2013