Guerra tra poveri per la casa. Tra italiani e stranieri

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In molte regioni per concorrere all’assegnazione di una casa popolare serve un’anzianità di residenza. Non è un criterio efficace per riequilibrare il rapporto fra italiani ed extracomunitari assegnatari. Ma potrebbe essere usato come premio, rivedendo il sistema di punteggi e graduatorie

di Raffaele Lungarella

D’ora in avanti per concorrere all’assegnazione di una casa popolare in Emilia-Romagna sarà necessaria un’anzianità di residenza nella regione di almeno tre anni. È una condizione già introdotta (anche con un numero di anni maggiore) in altre regioni, nel tentativo di contenere lo squilibrio, a favore degli immigrati extracomunitari, nella concessione degli alloggi pubblici in affitto.

È probabile che gli italiani percepiscano come più immediata la concorrenza degli extracomunitari sul fronte della casa che non su quello del mercato del lavoro: molti immigrati svolgono attività non più gradite ai nostri concittadini, mentre sono pochi gli italiani che rifiuterebbero un aiuto per la soluzione del problema della casa, soprattutto se consistesse nell’assegnazione di un’abitazione popolare a canone molto basso.

Per questo i politici da diversi anni si propongono di limitare l’accesso degli immigrati extracomunitari alle agevolazioni per la casa. Iniziò il governo Berlusconi (decreto legge 112/2008, primo piano casa) precludendo la possibilità di beneficiare del contributo per il pagamento dell’affitto, ex lege 431/1998, agli inquilini non residenti da almeno dieci anni in Italia o da almeno cinque nella stessa regione.

AAA protesta treviso prefettura-2Le Regioni impugnarono presso la Corte costituzionale la quasi totalità delle previsioni di quel piano, ma non quella concernente l’anzianità di residenza che, anzi, applicarono ai soli immigrati extracomunitari. Lo fecero con tempestività anche tre (Toscana, Umbria e Marche) delle quattro regioni “rosse” del Centro-Nord; la quarta, l’Emilia-Romagna, si è adeguata quest’anno, stabilendo che l’anzianità di residenza debba maturare senza interruzioni (una restrizione rispetto alla previsione della norma statale).

Indipendentemente da come la si pensi sul piano politico, la misura è di pronta efficacia. La ragione è semplice: poiché il contributo è erogato sulla base del possesso dei soli criteri per accedervi, senza alcuna graduatoria di merito, gli inquilini privi dell’anzianità di residenza richiesta non possono richiederlo e ottenerlo.

Una condizione a efficacia ridotta

Non si può, invece, scommettere sull’efficacia, nel riequilibrare il rapporto extracomunitari/italiani nell’assegnazione delle case popolari, della condizione (che sembra valere per tutti gli immigrati) dei tre anni di residenza introdotta dalla Regione Emilia-Romagna.

L’effetto immediato della nuova norma sarà la riduzione del numero di immigrati che potrà concorrere ai bandi. Poiché il numero di alloggi da assegnare è generalmente un piccolo sottomultiplo del fabbisogno, si ridurranno anche le liste di attesa, ma non la tensione abitativa.

La condizione di extracomunitario non ha alcuna influenza nella formazione delle graduatorie, le quali riflettono le situazioni materiali delle famiglie. Su di esse hanno, invece, un peso rilevante la condizione economica, la numerosità e le varie forme di disagio degli aspiranti inquilini.

Le condizioni delle famiglie extracomunitarie, anche dopo qualche anno di permanenza in Italia, sono mediamente peggiori di quelle delle famiglie italiane. È questa la ragione per cui il vincolo dell’anzianità di residenza ridurrà il numero di immigrati che ricevono una casa in misura meno che proporzionale rispetto al calo del numero di quanti potranno concorre ai bandi.

Un premio all’anzianità

Anche la riduzione di quest’ultimo numero potrebbe non essere rilevante. In passato, ho svolto delle elaborazioni sulle circa 800 famiglie in lista d’attesa per l’assegnazione delle case popolari in un medio comune emiliano che attribuiva un punteggio all’anzianità di residenza. Gli extracomunitari erano il 40 per cento del totale dei nuclei in graduatoria, mentre quelli residenti nel comune da meno di tre anni erano il 9 per cento; quest’ultima percentuale non arrivava all’1,5 per cento considerando solo le prime trecento posizioni della graduatoria e raddoppiava se l’anzianità di residenza anziché a tre fosse stata portata a cinque anni. Restringendo ulteriormente l’analisi alle prime cento posizioni, che sono quelle che danno a chi le occupa le maggiori probabilità di ottenere una casa, per contare i casi in questioni sarebbero state più che sufficienti le dita di una mano.

Occorre, allora, prendere atto che quello dell’anzianità di residenza è un criterio del tutto sterile rispetto all’obiettivo per il quale è stato pensato? Questa conclusione drastica sarebbe sbagliata, poiché il criterio, anziché come condizione per aver diritto al beneficio, può essere usato in funzione premiale. Alcuni comuni lo fanno già. Per amplificarne gli effetti è, però, necessario attribuire all’anzianità di residenza un peso rilevante nel sistema dei punteggi per la formulazione delle graduatorie e farlo variare, tra un minimo e un massimo, in misura più che proporzionale con gli anni di permanenza nel comune. Si premierebbero il radicamento nel territorio e il contributo, anche fiscale, alla comunità, senza esporsi all’accusa di discriminazioni etniche. In Emilia-Romagna e anche nel resto del paese.

Fonte: laVoce.info

22 luglio 2015

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