La cittadinanza europea deve essere uguale per tutti

Série thématique : " La Stratégie de Lisbonne"

Non possiamo accettare che ci siano classi diverse di cittadini europei, divisi sulla base del PIL del loro paese di origine. La libertà di circolazione dei cittadini e dei lavoratori in Europa e la lotta al dumping sociale. La nostra visione alternativa e progressista

patrizia_1-a265c77f54di Patrizia Toia*

Avrete certamente letto sui social networks e sui vari mezzi di informazione del dibattito, innescato dal premier britannico Cameron e dalla CSU tedesca, contro la libera circolazione in UE, dal momento che dal 1° gennaio 2014 bulgari e rumeni hanno pieno diritto di movimento in tutta l’Europa, essendo scadute le misure transitorie che imponevano restrizioni.

E’ innegabile che la crisi economica e sociale abbia acuito la paura e la diffidenza dei cittadini europei che temono la concorrenza di altri lavoratori e questo sentimento va certamente valutato.

Credo tuttavia sia importante affrontare il tema conoscendo bene sia le regole vigenti che i dati, per poter dare risposte non emotive, ma ragionate.

Il diritto dei cittadini di muoversi liberamente all’interno dell’Unione Europea ha rappresentato una delle maggiori conquiste in termini di libertà per gli europei ed è anche simbolico della comune appartenenza all’UE.

La libertà di movimento dei lavoratori è già stabilita nel Trattato di Roma del 1957, come una delle quattro libertà chiave della nostra comunità ed è considerata essenziale per un’economia di mercato funzionante e centrale per la cittadinanza europea.

La libertà di movimento dei cittadini è stata poi riconosciuta come libertà fondamentale già più di 20 anni fa, nel Trattato di Maastricht (sull’evoluzione di questo diritto e delle direttive e regolamenti ad esso connessi vi allego una nota di background che abbiamo predisposto come gruppo S&D – allegato 1).

Riteniamo dunque profondamente sbagliato che alcuni governi e forze politiche suggeriscano che i periodi di transizione concordati per la libertà di movimento, vengano estesi o resi permanenti.

I periodi di transizione decisi nel 2004 e 2007 sono infatti stati concordati in Trattati internazionali legalmente vincolanti e con il supporto di tutti.

Sono nati da lunghe negoziazioni che hanno permesso ai nuovi Stati Membri di entrare nella UE, solo dopo aver rispettato le più forti condizioni economiche, politiche e legali mai imposte e hanno previsto una quantità di tempo adeguata perché tutti gli Stati Membri si preparassero alla libertà di movimento.

La cittadinanza europea deve essere uguale per tutti: non possiamo accettare che ci siano classi diverse di cittadini europei, divisi sulla base del PIL del loro paese di origine.

Ma per argomentare questa tesi, illustrata anche nel documento predisposto dal gruppo S&D (allegato 2), che spiega la nostra posizione e visione, credo sia utile citare qualche dato.

 I dati della realtà

Dobbiamo innanzitutto sottolineare che solo il 2,8% di tutti i cittadini UE vive in uno Stato Membro diverso dal proprio (si tratta di circa 14 milioni di cittadini), la maggior parte di loro sono dei contribuenti o parte di famiglie lavoratrici (il 79% di questi fanno parte di famiglie nelle quali almeno un membro è occupato), e nella maggior parte dei casi sono giovani, capaci di lavorare e non rappresentano un peso sulle risorse pubbliche (il 78% sono in età lavorativa).

La verità è quindi che ad oggi il bilancio della libertà di movimento è positivo: i cittadini che si spostano sono, per la maggior parte, contributori netti per le finanze pubbliche dei paesi ospitanti e quelli non impiegati rappresentano solo una porzione ridotta del numero totale di cittadini che si spostano.

Certo, è innegabile che la crisi ha anche portato a un aumento dei migranti UE non lavorativamente attivi, ma è ragionevole prevedere che il loro numero diminuirà con l’uscita dell’economia da questa recessione, come diminuirà il numero di persone alla ricerca di lavoro in UE (come suggerito dalle previsioni di mobilità lavorativa fatte dal Consorzio Europeo per l’Integrazione).

Peraltro i dati dicono che un terzo delle persone che emigrano alla ricerca di lavoro (32%) sono stati impiegati nel corso dell’anno precedente e inoltre, va detto che ancora oggi, nonostante la crisi economica, circa 2 milioni di posti di lavoro in UE non sono coperti.

Per questo, sfatando un primo fantasma negativo, bisogna constatare che ci sono dei forti motivi economici e politici per rispettare e non limitare, la libertà di movimento: questi lavoratori sono un elemento chiave di successo per il mercato unico e rafforzano l’economia europea, come, del resto, hanno ufficialmente ammesso gli imprenditori tedeschi contestando le posizioni di una parte del Governo.

 Turismo di vantaggi?

Un’altra accusa che viene mossa da alcune forse populiste riguarda i “turisti dei vantaggi” che sfruttano il sistema e pesano sullo stato sociale.

I fatti che emergono dagli studi più recenti indicano che non esiste una relazione statistica tra la generosità dei sistemi di welfare e gli spostamenti dei cittadini UE.

Per quanto riguarda l’impatto dei cittadini che si spostano sul sistemi di welfare e relativi benefici sociali, le regole UE sulla libertà di movimento dei cittadini e dei lavoratori contengono dei meccanismi di tutela contro il cosiddetto “turismo dei vantaggi”. Nessun cittadino UE può risiedere in un altro paese UE senza lavorare o studiare e semplicemente richiedere incondizionatamente i vantaggi offerti ai cittadini del posto.
Degli studi della Commissione, del 25 novembre 2013, emerge che i lavoratori che si spostano, in genere, pagano più, in termini di tassazione e previdenza sociale, rispetto a quanto ricevono in termini di vantaggi, dato che di solito sono più giovani ed economicamente attivi delle medie dei paesi ospitanti. La spesa in sanità sui cittadini UE che si spostano, ma che non sono attivi è molto piccola rispetto al totale della spesa sanitaria (0,2%) e alle economie dei paesi ospitanti (0,1% del PIL).

 A nostro avviso i veri “turisti dei vantaggi” sono, semmai, quelle aziende (per fortuna solo una parte) pronte a cambiare paese rapidamente per sfruttare bassi livelli di tassazione e altre scappatoie.

 Mobilità e dumping sociale

Proprio per questo abbiamo elaborato 10 proposte (che vi trasmetto in un altro documento – allegato 3) dove ribadiamo che invece di attaccare la libertà di movimento in Europa, servono delle misure più forti per salvaguardare i livelli salariali, le condizioni lavorative e gli standard sociali dei paesi ospitanti.

Tutto ciò anche nella convinzione che adeguati livelli del mondo del lavoro aiutano la competitività e la crescita, se non vogliamo andare verso un’economia che anziché sull’innovazione e sullo sviluppo della formazione punta sulla riduzione dei diritti e delle retribuzioni.

Riteniamo infatti che al centro del mercato unico, dove la libertà di movimento sia pienamente garantita, debbano necessariamente esserci i principi di equità lavorativa, equità di diritti e di competizione equa.

La situazione europea attuale purtroppo non rispecchia questi diritti, per questo nelle 10 proposte ci sono alti standard sociali e lavorativi, come la creazione di un salario minimo e di un reddito minimo garantito, la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori, una legge contro il social-dumping, ispezioni più efficaci e una maggiore Responsabilità Sociale d’Impresa.

 Un’Europa sociale, non un’Europa dello sfruttamento

La nostra visione politica alternativa è quella di un’Europa che sia molto di più di un mercato unico.

Crediamo infatti che la libertà di movimento e la cittadinanza sono componenti essenziali per un’Europa più democratica e giusta.

Per noi, la UE non è solo un progetto economico, ma anche politico e democratico, basato sulla solidarietà, sulla coesione e sul rispetto per la diversità delle nostre culture. Un’Europa sociale, non un’Europa dello sfruttamento.

 Sarebbe un errore fatale quello di mettere in dubbio il risultato di un’Unione che si è allargata dai 12 membri del 1995 ai 28 attuali.

Anche perché dai sondaggi di Eurobarometro emerge che il 56% dei cittadini europei vede la libertà di movimento come il risultato più positivo della UE e il 67% riconosce che questo porta dei benefici economici per l’economia del proprio paese.

La libertà di movimento non è solo al centro della cittadinanza UE, ma è uno dei valori fondanti dell’Unione.

Noi vogliamo che la UE dell’austerità venga sostituita da una forte UE di crescita, che protegga tutti i propri cittadini, consapevoli che le regole attuali siano sufficienti per permettere agli Stati Membri di affrontare gli abusi della libertà di movimento.

Patrizia Toia dal 2009 è riconfermata parlamentare europea eletta nelle liste del Partito Democratico e facente parte del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D). E’ Vicepresidente della Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia. E’ inoltre membro della Delegazione all’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE; membro sostituto della Commissione per lo sviluppo e la Delegazione per le relazioni con il Mercosur. E’ vicepresidente del Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (S&D). E’ componente della Direzione Nazionale del Partito Democratico.

Per chi vuole approfondire:

Dieci proposte social dumping

Background libertà di movimento

Visione S&D libera circolazione cittadini

 

13 gennaio 2013

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