Quando di mezzo c’è il corpo delle donne, la maternità surrogata

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C’è una parte che manca totalmente dal dibattito in corso. In Europa i figli si fanno sempre meno e sempre più tardi. Il ritratto di una crisi che rende sterili

di Redazione

Si riapre il dibattito attorno alla maternità surrogata. La questione, come spesso accade quando di mezzo c’è il corpo delle donne, è complessa e delicata, e il dibattito si accende proprio mentre in discussione c’è la legge sulle unioni civili che, con la stepchild adoption sembra a molte il cavallo di Troia per far passare anche nel nostro paese la cosiddetta surrogacy. Certo, sappiamo bene che proibire spesso significa relegare alla clandestinità. Ci sembra utile tratteggiare lo sfondo di questo dibattito per contestualizzarlo e il nostro contributo vuole essere proprio quello di colmare un gap di approfondimento e documentazione.

In un paese dove la casa dei genitori viene lasciata sempre più tardi e il numero di nuovi nati è drasticamente in calo, non si può non tener conto del fatto che la surrogata riguarda per la maggior parte dei casi coppie eterosessuali sterili e che è molto più legata alla infertilità di donne e uomini che arrivano tardi alla scelta del primo figlio che non a coppie di uomini gay.

Su inGenere monitoriamo la questione da almeno cinque anni. Abbastanza, per raccogliere dati che diano una misura e forniscano un quadro verosimile del contesto in cui ci troviamo.

Parlando di demografia, gli studi più recenti condotti a livello europeo suggeriscono che la crisi economica ha già lasciato un’impronta visibile sui tassi di fecondità: la pur modesta tendenza alla crescita della fecondità si è arrestata nei tre/quattro anni successivi al 2008 in alcuni paesi (es. in Belgio, Francia, Italia, Irlanda, Slovenia, Polonia, Gran Bretagna) e si è addirittura invertita in altri  (Spagna, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia).

Se parliamo di salute sessuale e riproduttiva, poi, stando al 50 per cento degli specialisti che hanno partecipato all’ultima indagine Censis sulla fertilità in Italia, l’infertilità riguarda il 20-30% delle coppie italiane. Tra queste, quasi il 70% con età compresa tra i 35 e i 40 anni. Alla base ci sono motivazioni economiche, culturali e politiche. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro non è stato accompagnato da misure adeguate per sostenere e valorizzare la maternità, e a causa di condizioni di lavoro assai precarie le coppie tendono sempre più a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente, sia per l’invecchiamento dei corpi, che per la comparsa nelle donne di patologie particolarmente frequenti in questa fascia d’età.

Insomma, all’origine di estremi rimedi e bisogni indotti dal fatto che nel “mondo industrializzato” i figli si fanno sempre meno e sempre più tardi, un posto in prima fila spetta proprio al mercato del lavoro così come si è andato configurando negli ultimi cinquant’anni. La precarietà rende sterili. Non è più solo uno slogan, a confermarlo sono i dati.

Fonte: ingenere

16 dicembre 2015

 
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