Regionali, fallita l’operazione parità. Tra gli eletti solo una donna su cinque

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Record negativi di presenze femminili in Umbria e Puglia. Al punto che Emiliano dovrà pescare nelle file dell’opposizione per rispettare la promessa di una giunta “rosa” almeno a metà. La Toscana modello positivo ma resta sotto il 30 per cento

di Lello Parise

BARI. Donne in carriera (politica)? In Toscana è più facile, ma in Umbria e Puglia no, l’altra metà del cielo trova posto soltanto in un angolo. Anzi. “Il 2 giugno non si festeggia soltanto la nascita della Repubblica, ma anche la prima volta in Italia del voto alle donne” dice proprio ieri la senatrice Angela Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali. Eppure, fare l’esempio più clamoroso, la Puglia è l’unico posto dove le preferenze di genere non esistono. Ci sono, invece, nelle altre sei regioni in cui il 31 maggio si è votato. Però non è che gli elettori si diano molto da fare, nel chiuso delle urne, per scegliere una rappresentante del cosiddetto sesso debole. Ed ecco i risultati. In Umbria del terzetto “rosa” fanno parte, oltre al presidente Catiuscia Marini, Donatella Porzi e Fernanda Cecchini. Solo due su dieci eletti sotto le bandiere del Pd. La “confermata” Cecchini non ha dubbi: “La preferenza di genere non aiuta le donne. E’ un’ipocrisia. Io sono arrivata terza senza santi in paradiso e senza padrini”.

L’INTERATTIVO

La presenza femminile, alla fine, nel migliore dei casi può risultare “significativa, ancorché non cospicua”, come dice la Finocchiaro, ma la battagliera esponente dei democratici ieri parlava di quello che succedeva all’interno dell’Assemblea costituente. Settant’anni più tardi, la situazione è ancora molto problematica. Le percentuali che riguardano le elette  –  soprattutto se valutate in rapporto all’obiettivo di una effettiva parità  –  sono tutt’altro che entusiasmanti. Nella terra del nuovo governatore pugliese Michele Emiliano, sei su cinquanta consiglieri (11,8 per cento); in Umbria, tre su venti (14,3 per cento); in Liguria, cinque su trenta, inclusa Raffaella Paita (16,6 per cento); tra il 20 e il 23 per cento, si alzano le quotazioni “rosa” nelle Marche (sei su trenta, 20 per cento), in Campania (11 su cinquanta, 22 per cento) e nel Veneto (12 su 51, pari al 23,5 per cento); ma è in Toscana che le donne conquistano la quota di seggi più alta: 11 su 40, il 27,5 per cento. La media, dunque, è meno di una eletta su cinque. “Per me il problema non è stato di genere” spiega Marta Rapallini, del Pd, che a Firenze ha provato ci prova a diventare consigliere regionale ma non c’è riuscita. “Il risultato è stato inferiore alle aspettative. La sfida era ardua, ma ho deciso comunque di mettermi in gioco. Questo non significa che sia comodo farsi largo tra gli uomini: io lavoravo all’università e ne so qualcosa”.

Nelle Marche le sei signore della politica (due del Pd, una leghista, un’esponente di Fratelli d’Italia, un’altra di Forza Italia e l’ultima del Movimento 5 stelle) possono sperare di arrivare in prima fila. Il presidente Luca Ceriscioli vuole mettere in piedi un esecutivo con tre uomini e tre donne. Diventa, questa, la classica missione impossibile per Emiliano, segretario pugliese del Pd e alla testa della coalizione di centrosinistra. Vorrebbe, ma non può. Perché i progressisti avevano schierato ai nastri di partenza ottantacinque donne. Ma nemmeno una ha tagliato traguardo: l’assemblea può contare su cinque militanti di Beppe Grillo e una di Forza Italia, tutte all’opposizione. Il guaio è che dei dieci componenti la giunta, Emiliano otto dovrà pescarli proprio dall’assemblea e non più di due dall’esterno. Emiliano ha la battuta pronta: “Salvo reclutare almeno quattro dei 5Stelle, non vedo un’altra soluzione. Non abbiamo fatto una bella figura, questa è la verità. Ecco perché lavorerò per cambiare subito la legge elettorale, che deve prevedere la parità di genere e la doppia preferenza. A questo punto, la responsabilità è mia. La norma da rivedere e correggere, serve ed è soprattutto giusta”. Per ora finisce che Loredana Capone, pure del Pd e già vicepresidente nella giunta Vendola, con 12mila 744 voti al seguito è rimasta fuori dalla porta: “Ci può essere stata qualche svista. Per le cinque donne pentastellate, piuttosto, grazie al marchio di fabbrica M5S sono scattati i seggi. Si faranno conoscere dopo le elezioni”. Detto con delusione, e un’ombra di rabbia.

Fonte: Repubblica

3 giugno 2015

 

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