Ivan Scalfarotto: “Farsene una ragione”

“Siccome sono da quel dì un sostenitore di Matteo Renzi, e non mi riconosco in questo identikit [descritto da Lucia Annunziata, sull’Huffington Post] cercherò di spiegare, senza alcun accento fideistico, quali ragioni mi hanno spinto e mi spingono tuttora a sostenere Renzi con la massima convinzione”.

ANNIVERSARIO. Sacco e Vanzetti, condannati per un’accusa falsa, puniti per la loro dissidenza politica

Sacco e Vanzetti

Sacco e Vanzetti

Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. […] Ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora”.

Bartolomeo Vanzetti scolpiva nella storia le sue parole d’onore e di verità, in un’aula di tribunale. Era il 19 aprile 1927 e dinanzi al giudice l’anarchico italiano imbastì un discorso fiero e commosso, che era già un discorso di commiato: il suo destino, e quello dell’amico Nicola Sacco, era scritto. Lo sapevano tutti, persino i muri di quel tribunale di Dedham, in Massachusetts. Lo sapevano i poliziotti, gli avvocati, i procuratori, i rappresentanti del governo, i giornalisti. Lo sapevano i due dead men walking, proletari figli dell’utopia, stritolati tra il valore supremo della giustizia, perseguito dal popolo, e l’esercizio dell’ingiustizia, subdola strategia del potere. 

Due uomini retti, Sacco e Vanzetti. Due vittime designate, contestatori non violenti di un sistema xenofobo e fintamente democratico, disposto a sacrificare ogni “nemico interno” sull’altare dell’autoconservazione. Nemici interni erano gli stranieri, così come i comunisti, gli anarchici, i sovversivi, oggetto di quella “paura rossa” che negli anni Venti – così come nei primi Cinquanta – divenne mitologia collettiva, sfociata in politiche persecutorie. Bisognava dare una lezione alla società. Bisognava raccontare la dissidenza come il peggiore dei mali e spiegare che la sicurezza degli americani dipendeva da quella stretta feroce inflitta ai ribelli, ai diversi.

Sacco e Vanzetti, immigrati in America agli inizi del Novecento, erano un calzolaio e un pescivendolo. Impegnati in battaglie politiche e civili: manifestazioni, scioperi, volantinaggi, chiedendo più diritti per la classe operaia. La loro vicinanza al movimento anarchico, così come quella condizione di poveri clandestini, emarginati da una società classista, ne fecero due agnelli sacrificali ideali. Il loro fu un processo esemplare, costruito ad hoc sulla base di un’accusa indimostrata – l’assassinio di due uomini durante una rapina, a Boston – utile ad offrire agli americani due condannati perfetti.

Così volle il Governatore Alvan T. Fuller, così volle il giudice Webster Thayer, che li chiamò “bastardi anarchici”. E così, con una colpa non loro, nonostante la sollevazione internazionale, i due “wops” (“senza documenti”, temine dispregiativo con cui si bollavano gli immigrati italiani) finirono i loro giorni in cella, nel penitenziario di Charlestown. Qui, il 23 agosto del 1927, morirono sulla sedia elettrica. Per non aver commesso il fatto. A cinquant’anni da quell’”errore giudiziario”, sapientemente architettato, Michael Dukakis, governatore del Massachusetts, ammise i vizi del processo e riabilitò la figura dei due innocenti.

Il 23 agosto 2014, 87esimo anniversario dalla loro morte, il mondo ritrova un filmato inedito di 4 minuti e mezzo: sono le immagini dei funerali, affollatissimi e presidiati da centinaia di poliziotti, girate clandestinamente dagli operatori del Defense Committee, un comitato di sostegno messo su a Boston dall’anarchico e giornalista toscano Aldino Felicani.

Il documento rimase nascosto, a causa del divieto delle autorità di filmare e fotografare l’evento: troppo rumore intorno a quella vicenda, troppi sospetti, troppe paure. Rintracciato, finalmente, il girato è adesso al centro di un tour commemorativo che è partito dall’Istituto De Martino di Sesto Fiorentino (22 agosto), per proseguire il 25 a Torremaggiore (Foggia), borgo natale di Sacco, e il 28 a Villafalletto (Cuneo), dove nacque Vanzetti.

24 agosto 2014

Padri che uccidono i figli, il trend in crescita. Gli esperti: “Non è un raptus. Vogliono punire la madre e affermare la propria mascolinità”

Sei casi soltanto questa estate, un impressionante elenco di padri che uccidono i figli: l’ultimo è il quarantasettenne Roberto Russo. Nella foto: l’entrata della casa a San Giovanni La Punta, nei pressi di Catania, dove Roberto Russo ha ucciso a coltellate la figlia Laura di 12 anni e ferito in maniera grave un’altra figlia, Marica, 14 anni

Il sindaco spazzino: la mattina in ufficio, il pomeriggio con la scopa in mano

https://www.youtube.com/watch?v=K9ZP0w4GauY

Dante Cattaneo è il sindaco leghista di Ceriano Laghetto, comune di 6mila abitanti in provincia di Monza e Brianza. Tutti i pomeriggi di agosto il primo cittadino, invece di rinchiudersi nel suo ufficio, indossa la divisa di spazzino e pulisce vie, piazze e aiuole del paese. Una trovata elettorale? Pare di no, dato che le elezioni a Ceriano si sono svolte a maggio e Cattaneo le ha stravinte. “La mattina lavoro come impiegato, il pomeriggio pulisco la mia città. Le risorse sono scarse e io non voglio che Ceriano sia sporca, per questo mi rimbocco le maniche”

22 agosto 2014

Con “Dancing with Maria” balli da pazzi

"Il Leone di venezia" ( foto ©  Chiara Vettraino )

“Il Leone di San Marco” ( foto © Chiara Vettraino )

“Dancing with Maria” di Ivan Gergolet è l’unico film italiano in concorso alla 29a Settimana internazionale della critica nell’ambito della 71ma Mostra del cinema di Venezia (sarà proiettato il 2 settembre).

Si tratta di un documentario – il primo lungometraggio diretto dal regista friulano – sulla celebre danzatrice Maria Fux, coreografa e danza terapeuta argentina di grande esperienza artistica e pedagogica, che svolge da oltre 40 anni il lavoro di formazione alla danzaterapia in vari paesi dell’America e dell’Europa, nei quali è ampiamente praticato il suo metodo per il recupero psicofisico attraverso il movimento creativo in diverse situazioni di disabilità.

Nei suoi corsi danzano insieme ballerini di qualsiasi condizione ed estrazione sociale, uomini e donne con malattie fisiche e mentali, alla scoperta di se stessi e degli altri. L’incontro con l’energia e la danza di Maria cambiano la vita di chi l’incontra – riferisce Gergolet, nato nel 1977 a Monfalcone (Gorizia)  – Dopo aver sperimentato  e trasmesso agli altri per tutta una vita il suo metodo basato sulla percezione dei ritmi interni e sulla simbiosi con la musica Maria Fux ha preso in consegna un’ultima allieva, forse la più difficile: se stessa”.

Maria Fux

Maria Fux

Ultranovantenne, Maria Fux “non ha perso la verve e la grazia che ne hanno fatto una delle grandi della danza”, afferma il regista, che ha girato nella scuola di Maria dove “la missione è trasformare con la danza e la simbiosi con la musica i limiti di ognuno in risorse”. Perché – sostiene l’anziana insegnante di ballo – “la danza è  l’incontro di un essere con gli altri”.

La sua carriera inizia molto precocemente. Tra il 1954 e il 1960 è una delle prime ballerine del Teatro Colon di Buenos Aires, protagonista di tournée di successo negli Stati Uniti, Polonia, Russia, Perù, Brasile e Uruguay. Dal 1960 al 1965 dirige il “Seminario di Danza” all’Università Nazionale di Buenos Aires. Successivamente svolge un’intensa attività di recital e seminari didattici in molte città dell’America Latina, dell’Europa e del Medio Oriente. Nel 1968 presenta al Congresso Internazionale di Musicoterapia, che quell’anno si svolge a Buenos Aires, una relazione sul tema “La danza come terapia” dove per la prima volta si parla dell’importanza della danza come mezzo educativo ed espressivo per gli audiolesi.

Da quel momento Maria Fux diventa un punto di riferimento in Europa e nelle Americhe per la formazione alla danzaterapia. Nel 1980 inizia la collaborazione in Italia con Lilia Bertelli con la quale fonderà a Firenze nel 1989 il Centro Toscano di formazione in danzaterapia “Maria Fux”. Oggi molti operatori, medici e psicologi, che hanno sperimentato la validità del metodo di Maria Fux lo applicano nel trattamento di persone di varie età con problemi sensoriali (non vedenti, non udenti), sindrome di Down, disagio psicologico, sia a scopo riabilitativo che terapeutico. Il 14 maggio 2002 e’ stata nominata “cittadina illustre” di Buenos Aires.

21 agosto 2014