Una donna informatica ogni 7 uomini. Obiettivo parità in Italia entro il 2015

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I «diversity report» della Silicon Valley e lo sforzo collettivo per creare nuovi modelli

di Marta Serafini

Quando Ada Lovelace, ai primi dell’Ottocento, inventò il primo algoritmo della storia diventando di fatto la prima programmatrice informatica, non poteva certo immaginare che lo stipendio medio di un ingegnere di Google sarebbe stato di 128 mila dollari l’anno. La figlia di Lord Byron non poteva nemmeno prevedere che il suo nome sarebbe diventato un simbolo della parità di genere.
A distanza di oltre duecento anni, non passa giorno che negli Usa non si discuta del gender gap nella Silicon Valley. La questione è talmente sentita che i colossi del tech, da Google passando per eBay fino a Facebook e Twitter, sono stati costretti a pubblicare i diversity report , relazioni annuali nelle quali viene messa nero su bianco la quota di donne assunte e nelle quali si ammette che sì i numeri sono ancora bassi perché in media si parla di una donna ogni sette uomini, e una ogni otto se si guarda ai ruoli tecnici. Sulla stampa americana, poi, sono centinaia gli articoli in cui le giovani donne di Mountain View (sede di Google), Menlo Park (Facebook) o Sunnyvale (Yahoo!) alzano il velo sull’apparenza e raccontano episodi di sessismo, di capi brogrammer (programmatori nerd usciti dalle confraternite americane) e di impiegate trattate come groupie .

Kate Losse, ex dipendente di Facebook, nel suo libro The boy Kings , spiega come agli albori del social network, il giorno del compleanno di Zuckerberg venisse chiesto alle dipendenti di indossare una T-Shirt con la faccia del Ceo. O, ancora, Julie Ann Horvath, giovane ingegnere informatico, su Twitter ha raccontato perché se ne è andata dalla società in cui lavorava, GitHub, dopo essere stata discriminata e mobbizzata. Una delusione, dunque, per chi pensa

alle startup come motori di innovazione sociali e di apertura. E una questione che sempre di più riguarda anche Italia e Europa. E il motivo è molto semplice, come ha sintetizzato Neelie Kroes, commissario europeo per l’agenda digitale: «La tecnologia è troppo importante per essere lasciata solo agli uomini».

Ogni qualvolta si parla di sessismo e tech la replica è che le donne non sono portate per questo settore. Spiega Kate Losse: «Uno dei modi in cui i colossi del tech negano le loro responsabilità sulle discriminazioni di genere è affermando che le donne semplicemente non sono interessate alla tecnologia». Niente di più falso. Ma resta il fatto che negli Usa solo il 2 per cento delle donne si diploma in informatica, nonostante le studentesse di corsi scientifici siano il 57,1 per cento. In Europa, poi, la percentuale di donne assunte nel settore informatico è una su cento mentre il tasso di diplomate è al 20 per cento. E in Italia? La percentuale di studentesse di materie scientifiche è tra le più alte al mondo: ben il 50,3 per cento rispetto a una media Ue del 37,5. C’è poco da gioire, tuttavia. A fronte di grandi eccellenze, molte laureate finiscono per fare altro. Regola che vale anche per gli Usa. Lasciando da parte eccezioni come Marissa Mayer e Sheryl Sandberg, se si va a scorrere la lista del Time dei 40 personaggi più influenti a livello tecnologico si scopre che le donne sono il 2,75. Attraversando l’Oceano le cose non cambiano. In Europa solo 9 sviluppatori su 100 sono donne e appena il 19 per cento dei manager è di sesso femminile contro il 45 in altri settori dei servizi.

Secondo due ricercatori dell’Università del Rhode Island, autori di uno dei primi studi sul tema, il nodo si scioglie in tre luoghi, nelle aziende, nelle famiglie e scuola. «Diversity e competizione vanno di vari passo, ecco perché è importante fare della prima un valore. E non solo per quanto riguarda il sesso», spiega Pino

Mercuri, direttore del personale di Microsoft Italia, il cui obiettivo è di arrivare per fine 2015 ad avere il 50 per cento di donne in azienda (oggi sono il 30). Non basta dunque solo assumere le donne, fondamentale è anche creare un ambiente di lavoro dove le diversità vengano rispettate. Morale, ogni anno i manager di Microsoft sono obbligati a seguire dei corsi con esercitazioni di role play . Poi ci si appoggia, come succede ormai sempre più di frequente, ad associazioni esterne come Parks che lavora per il rispetto dei diritti Glbt sul posto di lavoro, o addirittura a realtà interne come Nuvola Rosa, progetto nato proprio con l’obiettivo di spingere le ragazze a intraprendere percorsi di formazione tecnico-scientifici. «Fondamentale infatti è avviare programmi di mentoring , per creare modelli e punti di riferimento per dare vita a una futura classe dirigente al femminile», sentenziano tutti gli addetti ai lavori.

Pensare però di affidare il processo di parificazione alle sole aziende è illusorio. «La maggior parte di questo lavoro viene fatto da realtà indipendenti e vicine al mondo femminista», spiega ancora Kate Losse. Da Girls Who Code all’Anita Borg Institute negli Stati Uniti sono parecchie le fondazioni che promuovono le materie Stem (acronimo inglese che sta per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) tra le giovanissime (vedi sotto ).

La chiave di volta sta anche nel processo educativo. Non è un caso che la sorella di Mark Zuckerberg, Randy, in una delle sue prime interviste, abbia raccontato: «A lui compravano i videogame, io giocavo con le bambole». È dunque colpa dei nostri genitori che non ci hanno regalato il Commodore 64 se il codice Html ci

pare arabo? O siamo noi stesse ad escluderci dalla partita? A leggere i dati, è difficile trovare una risposta. Per Christianne Corbett, co-autrice del rapporto Why So Few? Women in Science, Technology, Engineering and Math , gli stereotipi di genere si formano a quattro anni. Le bambine imparano che materie come l’ingegneria e la tecnologia sono prettamente maschili, mentre le femmine sono più portate, per esempio, all’insegnamento nelle scuole. Secondo il Dipartimento Usa per la Pubblica Istruzione, molto dipende dall’auto percezione delle ragazze rispetto alle loro abilità matematiche e scientifiche. «Se da piccola ti senti ripetere tutti i giorni che la matematica è una cosa da maschio, è difficile che te ne interessi», spiega Chiara Burberi, un passato da manager e oggi a capo di Redooc, piattaforma che promuove lo studio delle materie Stem nelle scuole. Facile infatti che i meccanismi educativi che impongono alle bambine di scegliere percorsi di studi «più leggeri» e «compatibili con la formazione di una famiglia» si trasformino in «profezie che si auto avverano». «Dobbiamo costruire dei modelli di riferimento per le ragazze che le portino ad abbattere le barriere del maschilismo e dell’esclusione – continua Burberi – perché è inutile nascondercelo: da bambini ci si identifica in quello che si ha intorno». Già, e forse non sarà un caso che la madre di Ada Lovelace, una matematica inglese, l’abbia cresciuta insegnandole fin da piccola che i numeri sono meravigliosi, se si ha la pazienza di imparare a conoscerli.

Le navigatrici battono i navigatori: il divario italiano

Le navigatrici battono i navigatori nonostante le donne siano una minoranza nel settore tech, rappresentano un ottimo target commerciale. Secondo i dati Itu, penetrazione dell’accesso alla rete e numero di utenti donne sono strettamente correlati. Negli Usa il numero di utenti web di sesso femminile supera leggermente quello maschile. Il divario italiano Vanno bene anche il Brasile (41.1 a fronte di 40.3), Svezia (con le donne meno di tre punti sotto gli uomini) e Islanda (un punto). Mentre per l’Italia il divario rimane alto con dieci punti di differenza. Per quanto riguarda l’uso dei social network, secondo il Pew Reaserch Center, il divario si sta assottigliando con un gap che si aggira a livello globale intorno all’8%. Altro dato interessante è il numero di giocatrici di videogame: 47 %. Solo l’11 dei disegnatori e dei programmatori di questo settore, che vanta un salario medio di 72 mila dollari, è donna

 Il «geek feminism» e la corsa alle Sheryl Sandberg del futuro

Negli Usa sono molte le fondazioni il cui obiettivo è la parità di genere nel settore tecnologico. Tra le più importanti l’Anita Borg Institute che prende il nome da una famosa informatica statunitense. Uno dei programmi più efficaci in questo ambito è il Grace Hopper Celebration of Women in Computing (Ghc), serie di conferenze che ogni anno ospitano i nomi più importanti della tecnologia al femminile e che promuovo tra la ragazze lo studio di materie Stem sostenendole con borse di studio e con programmi di mentoring. Altro pilastro del geek feminism è Black Girls Code, associazione che dà alle giovani di colore l’opportunità di entrare in contatto con il mondo della programmazione e del coding. Stesso scopo hanno Girls Who Code e Girl Develop It. Le loro linee guida hanno a loro volta ispirato il programma Made with Code nel quale Google ha investito 50 milioni di dollari. Non mancano poi lobby come Girls in Tech e Women Who Tech che in tutto il mondo promuovono l’imprenditoria al femminile. A queste realtà si affiancano pubblicazioni e riviste specializzate come Model View Culture (modelviewculture.com) spesso anche molto critiche nei confronti dei manifesti e dei proclami delle manager della Silicon Valley che dai palchi dei Ted Talks si propongono come modelli di successo al femminile. Una su tutte Sheryl Sandberg, braccio destro di Zuckerberg, autrice di Lean In e considerata da molti una futura senatrice democratica.

Fonte: Corriere Della Sera

11 settembre 2014

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